Per far capire il concetto di “bene comune”, il giurista Ugo Mattei, fra gli organizzatori del Festival Internazionale dei Beni Comuni che si tiene nella città di Chieri (Torino) dal 9 al 12 luglio, inizia dalla sua personale esperienza in ambito politico nella cittadina piemontese: “Se io da vicesindaco provo a farmi ricevere, non dico dall’amministratore ma almeno da un capo area di una grande compagnia telefonica che vuole installare una antenna, dicendogli che devo tutelare la salute dei miei concittadini, questo neanche mi riceve. Mi risponde: ‘Io la metto dove mi pare, l’antenna, può farmi causa, tanto ho 30mila euro in cassa per difendermi’. Poi mi scatena i migliori studi legali d’Italia e il risultato è facile da intuire. I rapporti di forza sono talmente cambiati che noi Stato siamo dei poveretti, il pubblico è veramente stato ridotto al pezzente che cerca le briciole al tavolo del ricco epulone. Questa è la vera partita. E allora, o si riprende nell’immaginario comune l’idea di cultura della condivisione favorendo quel cambiamento culturale da cui discende poi il cambiamento politico, o altrimenti questo cambiamento non avverrà mai e siamo destinati a fare operazioni ultraminoritarie. Pensare il contrario, dal cambiamento politico possa avvenire un cambiamento culturale, beh è impossibile, non avverrà mai”.

Quello dei Beni Comuni è un argomento che taglia trasversalmente le storiche contrapposizioni politiche novecentesche tradizionali, con la sua visione del mondo potenzialmente maggioritaria anche se non inquadrabile nell’attuale sistema di democrazia rappresentativa, perché  “molto spesso – dice il professor Mattei – chi sostiene queste battaglie non va a votare, perché non crede più nella rappresentanza parlamentare o in quella degli enti locali, trasformati quest’ultimi, in strutture di estrazione di denaro”.

Il concetto di bene comune indica quella categoria di beni che appartengono alla collettività e che dovrebbero essere sottratti alle logiche del mercato come l’acqua: “È un concetto che accompagna la storia dell’uomo – afferma Ugo Mattei – ed  è una battaglia che parte da lontano. In Italia la questione diventa politicamente rilevante con i referendum sull’acqua, anche se un tentativo importante di portare all’attenzione della politica il concetto di bene comune venne fatto dall’ultimo governo Prodi nel tentativo di riformare il codice civile riguardo ad alcune tipologie di beni molto delicate come le nevi, i ghiacciai, le acque e le baie, che sono ecologicamente significativi, nel tentativo di non rendere così facile la privatizzazione di questi beni. Purtroppo il grande compromesso fra Stato e proprietà privata è andato in crisi, e oggi non possiamo aspettarci che Leviatano faccia l’interesse di tutti, ma fa quello dei pochi. In più ci sono molteplici soggetti privati che sono le multinazionali che sono più forti degli Stati più forti. E invece c’è ancora chi è convinto di poter controllare il privato. È una roba ridicola”.

E del concetto di “bene comune” si è occupato anche Papa Francesco nella sua enciclica Laudato si’  dando una dura sferzata alla sostenibilità economica: “Abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana. Il salvataggio a ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura”, ha scritto il Papa.

“Il Festival è una grossa opportunità – conclude Ugo Mattei – Si parte dal basso verso l’alto, dalla periferia al centro, per costruire una rete, un dialogo, un’altra visione, nuove parole d’ordine che non siano neoliberali. Bene comune è l’unica parola d’ordine non neoliberale che noi utilizziamo, perché tutte le altre parole del lessico politico contemporaneo come meritocrazia, efficienza, riforme, flessibilità, competizione, implicano tutte un senso capitalista e neoliberale delle cose. E rappresentano il passato, si spera”.

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