Un muro lungo 168 chilometri al confine con la Libia, affiancato da un fossato, da terminare entro la fine del 2015. È questa l’ultima idea del governo tunisino di Habib Essid per contrastare il flusso di terroristi che dalla Tripolitania è diretto nel piccolo Stato maghrebino già colpito da due attentai nel giro di pochi mesi. “La Libia è diventato il primo problema e stiamo studiando anche di installare apparecchiature elettroniche lungo il confine, nonostante la spesa”, ha dichiarato il primo ministro durante un’intervista alla tv di Stato. Una preoccupazione sorta già dopo l’attentato al museo del Bardo, quando i controlli alla frontiera erano stati rafforzati, ma che non tiene conto del fatto che la Tunisia è il Paese dal quale parte il maggior numero di foreign fighters, i quali, da mesi, raggiungono anche la Libia per sostenere le diverse fazioni jihadiste in lotta per il controllo del territorio.
L’avvio de lavori è previsto nelle prossime settimane e l’idea del premier è quella di portare a termine l’opera entro la fine del 2015. Obiettivo: isolare il Paese dalla confinante Tripolitania, area libica dove è forte la presenza di jihadisti legati ad Al Qaeda e allo Stato Islamico e dove è in corso una lotta di potere tra le decine di gruppi estremisti che operano nella zona.
Il sud della Tunisia, però, è a sua volta un’area in gran parte controllata da membri di movimenti terroristici, un “piccolo Sinai” in seno a uno Stato che, esercitando la politica del pugno duro in materia di antiterrorismo, è riuscito a bonificare soprattutto le aree vicine ai grandi agglomerati urbani. Ed è proprio nel sud della Tunisia che si radicalizzano e si addestrano i combattenti che hanno reso il Paese quello da cui parte il più alto numero di foreign fighters per andare a combattere in Siria, Iraq e anche Libia. Ne sono un esempio i 30 giovani di Remada, nel governatorato di Tataouine, nel sud della Tunisia, scomparsi da mesi e che le autorità di Tunisi temono abbiano raggiunto la Libia per unirsi ai jihadisti. Tra questi, fa sapere il portavoce del ministero della Difesa, Belhassen Oueslati, ci sarebbe anche un disertore dell’esercito tunisino.
La chiusura delle frontiere ritenute pericolose dal governo Essid rappresenta il punto da quale ripartire per aumentare l’efficacia dei provvedimenti restrittivi messi in campo dall’esecutivo e dal presidente Beji Caid Essebsi: la proclamazione dello stato d’emergenza, che amplia i poteri in mano alle forze dell’ordine nella lotta a terrorismo e criminalità organizzata, e una legge, quella sull’antiterrorismo del 2003, che era già considerata dura nei confronti di chi è sospettato di far parte di movimenti fondamentalisti. “La guerra contro il terrorismo è responsabilità di tutti i tunisini – ha dichiarato il premier durante l’intervista, difendendo la decisione de Presidente di proclamare lo stato d’emergenza -il nostro dovere è il rispetto della Costituzione e lo stato d’emergenza mira a proteggere le istituzioni”, anche se “agiremo conformemente alla legge”.
Una lotta al terrorismo che il premier vuol combattere in casa e da solo, come testimonia la decisione di impedire alle autorità inglesi presenti sul territorio di estradare qualsiasi cittadino tunisino. Una decisione che cozza con la richiesta avanzata da Tunisi in occasione, a maggio, dell’arresto in Italia di Abdelmajid Touil, il 22enne di origine marocchina accusato di essere una delle menti dell’attentato al Museo del Bardo, a marzo. Non consegnerò mai un nostro cittadino ritenuto colpevole di terrorismo nelle mani delle autorità del Regno Unito – ha detto Essid – La presenza di investigatori britannici che indagano sull’attentato di Sousse si spiega con il fatto che la maggior parte delle vittime della strage è di nazionalità britannica, ma non consegneremo alcun sospettato a Londra”.