Tale emendamento, come si ricorderà, prevedeva il superamento del voto di laurea come requisito minimo per l’accesso ai concorsi pubblici con il fine di affiancarlo ad altri criteri, quali il voto medio per classi omogenee e l’ateneo di provenienza. Si prospettava, in tal modo, la creazione di una apposita graduatoria degli atenei e, da più parti, si era ipotizzato che questo emendamento, qualora accettato, avrebbe potuto aprire la strada verso l’abolizione del “valore legale” del titolo di studio.
Diverse le obiezioni sollevate in questi giorni. Significative le levate di scudi dei rettori, delle associazioni dei dottorandi di ricerca e degli studenti. Per il 9 luglio è stata indetta una conferenza stampa presso la Camera dei Deputati. Interverrà, tra gli altri, il segretario nazionale dell’Adi, Antonio Bonatesta, che ha dichiarato l’intento di “denunciare ogni tentativo di sperequazione territoriale nel sistema universitario italiano”. L’associazione studentesca Link fa invece presente come “pensare di selezionare gli studenti in base all’ateneo di provenienza, per l’accesso ai concorsi pubblici, di fatto significa affermare che vi sono diversi livelli di laureati e sancire che coloro che non hanno potuto iscriversi negli atenei considerati migliori saranno sfavoriti nella ricerca di un’occupazione”.
Il presidente della Conferenza dei Rettori, Stefano Paleari aveva ricordato senza mezzi termini che “le lauree devono avere lo stesso peso”.
Tutti scontenti, insomma! Persino lo stesso deputato Meloni che quell’emendamento aveva presentato e che, a suo stesso dire, era animato da migliori intenzioni: “L’intento era solo quello dell’abolizione del voto minimo di laurea quale filtro per la partecipazione ai concorsi pubblici”.
Tra le mille obiezioni sollevate circa l’opportunità dell’emendamento della discordia, veniva ventilata la potenziale incostituzionalità, in quanto verrebbe creata un’artificiosa e dichiaratamente discriminatoria distinzione tra possessori di titoli equipollenti. Per altri versi, come fare ad esser certi della qualità delle graduatorie e della perfetta imparzialità di chi le redige?
Chi sceglierebbe i criteri con cui eseguire la “ponderazione” dei voti attribuiti alle università? Cosa succederebbe alle università dichiarate ex lege di minor qualità? Come considerare il fatto che in ogni università italiana convivono situazioni di maggiore o minore difficoltà logistico-organizzativa con eccellenze di livello internazionale?
Che dire dell’impatto di simili graduatorie sulla riduzione del numero di iscritti alle università colpite dal punteggio sfavorevole? Che durata avrebbe una simile graduatoria prima di un aggiornamento? E, inoltre, per quale motivo un emendamento di così drammatica rilevanza ai fini del ridisegno dello scenario accademico nazionale dovrebbe essere inserito in un disegno di legge inerente la Pubblica Amministrazione invece di esser parte di un provvedimento organico in materia di Università e Ricerca Scientifica?
Last but not least, come si potrebbe pretendere di riformare un aspetto di tale rilevanza, viste le plateali eccezioni sollevate da tutti gli attori del mondo accademico senza tenerne conto? Occorre una più ampia riflessione, insomma. Ce ne eravamo accorti.