Tutta colpa dei numeri. Inchiodati sul 14-14 dell’”anomala” composizione della commissione Affari costituzionali del Senato, come l’ha definita la presidente Anna Finocchiaro. Un vero e proprio Vietnam per il presidente del Consiglio Matteo Renzi che avrebbe tanto voluto portare a casa il voto di Palazzo Madama entro l’estate. Ma è costretto a rinviare tutto a settembre. Cambi di casacca e la nascita di nuovi gruppi parlamentari (a cominciare da quello dei fittiani) hanno completamente stravolto la geografia della prima commissione. Senza contare le divisioni interne al Partito democratico che addirittura rendono l’attuale pareggio solo virtuale: nei 14 sui quali la maggioranza dovrebbe, almeno in teoria, reggersi sono infatti conteggiati anche i dissidenti del Pd. Che, solo qualche giorno fa, capeggiati da Miguel Gotor (tra i firmatari del documento anche Migliavacca e Lo Moro), hanno chiesto modifiche sostanziali all’attuale assetto della riforma. Così la maggioranza ha davanti a sé in particolare tre strade da percorrere. La prima: un soccorso “sotterraneo” dei verdiniani (che però in commissione si riduce al solo Riccardo Mazzoni). La seconda: un accordo con Forza Italia (che però chiede un altro metodo di elezione del nuovo Senato). La terza: rimodulare la composizione della commissione che non corrisponde alla situazione dell’Aula di Palazzo Madama.
VERDINI NON BASTA Un pasticcio, insomma, ma come uscirne? Quanto al possibile “soccorso” di schegge del centrodestra, oltre a Mazzoni, c’è anche Patrizia Bisinella, compagna di Flavio Tosi, approdata nel gruppo misto dopo aver lasciato la Lega, che non vede poi così male la riforma. Ma è sempre troppo poco per assicurare la maggioranza al governo. Senza contare l’altra mina vagante pronta ad esplodere. Quella della pattuglia di Ncd, formata da Andrea Augello, Gaetano Quagliariello e Salvatore Torrisi che già sulla riforma della scuola mandarono sotto in commissione l’esecutivo con la loro assenza proprio all’indomani della richiesta di arresto per Antonio Azzollini. Motivo in più che potrebbe spingere il governo a prendere tempo. Magari sperando, nel frattempo, di resuscitare il Patto del Nazareno. Che, se come dice il capogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama, Romani, “è definitivamente morto” potrebbe consentire però comunque “di scrivere le regole insieme”. A patto che si riesca a trovare un accordo, a cominciare dal rifacimento dell’Italicum, spostando il premio di maggioranza dalla lista (attuale versione) alla coalizione.
VICOLO CIECO Alla fine, se Renzi dovesse decidere di forzare e sfidare i numeri, gli scenari possibili sarebbero due. “Fare un accordo con Forza Italia, che ci potrebbe anche stare – spiega a ilfattoquotidiano.it un autorevole esponente della minoranza Pd – Oppure imbarcare i vari Verdini, D’Anna, Bondi e Razzi per sostituire un pezzo del suo stesso partito e sperare in un via libera prima della pausa estiva con 164-166 voti in Aula ma con tutte le conseguenze politiche del caso”. La terza via, quella degli appigli regolamentari, sembra invece difficilmente percorribile. Anche se i renziani della commissione Affari costituzionali del Senato la stanno comunque sondando: al 14-14 si è arrivati, infatti, anche per effetto del frazionamento dei gruppi del centrodestra rispetto all’inizio della legislatura. Attualmente la maggioranza può contare su 9 senatori del Pd, 3 di Area Popolare, e due delle Autonomie. In tutto 14, ma di fatto su 11 se si escludono i tre componenti della minoranza del Pd. Stesso numero (14) per le forze di opposizione: 4 di Forza Italia, due di Gal, uno dei Conservatori e riformisti (cioè i fittiani), uno della Lega, tre del Movimento 5 Stelle e tre del gruppo misto.
APPELLO A GRASSO Nel mirino della maggioranza che sostiene il governo in commissione c’è, per esempio, il caso di Mario Mauro, che, dopo aver lasciato Per l’Italia per approdare a Gal, è passato all’opposizione. Poi c’è quello del Gruppo misto dove, è questo il ragionamento dei renziani, uno tra Loredana De Petris (Sel) e Francesco Campanella (ex M5s, ora Italia lavori in corso), entrambi all’opposizione, dovrebbe essere rimosso. Per questo i renziani premono affinché il presidente del Senato, Pietro Grasso, intervenga per riequilibrarne la composizione appellandosi al cosiddetto Lodo Schifani del 2011, in base al quale la distribuzione dei senatori nelle varie commissioni deve tener conto dei rapporti di consistenza in Aula fra i gruppi di maggioranza e di opposizione. Solo che Grasso ha già fatto sapere che escludere un senatore da una commissione sarebbe una grave violazione del regolamento. Anche perché, l’unico precedente in cui il Lodo Schifani ha trovato effettiva applicazione risale proprio al 2011, ma in quel caso fu lo stesso senatore Gianpiero D’Alia a chiedere all’epoca di essere sostituito.
QUARTA VIA In realtà, un’altra strada ci sarebbe. Auspicata proprio dai senatori della minoranza del Partito democratico, ma che potrebbe essere terreno fertile per ricevere altri voti da pezzi di opposizione. “Mi auguro che si lavori per arrivare ad un accordo unitario nel Pd, che tenga conto delle proposte di modifica al testo della riforma che abbiamo messo nero su bianco nel documento di minoranza illustrato qualche giorno fa – spiega il bersaniano Miguel Gotor – Modifiche, peraltro, non certo rivoluzionarie: Senato elettivo alla luce dell’Italicum, adeguati poteri di verifica, controllo e, come conseguenza dell’elezione diretta, di garanzia”. Garanzie che riguardano, innanzitutto, l’elezione del presidente della Repubblica e dei giudici Costituzionali. Su questi ultimi, in particolare, la minoranza Pd chiede che ne possano eleggere separatamente 3 la Camera e 2 il Senato, perché eleggerli in seduta comune, con un’evidente sproporzione tra i componenti dei due rami del Parlamento (623 deputati e 100 senatori), sarebbe come se la Camera li eleggesse tutti da sola. E poi alcune materie selezionate ma qualificate sulle quali, fermo restando che Palazzo Madama non voterà più la fiducia al governo, si chiede di mantenere la doppia lettura: dichiarazione di guerra, libertà religiosa e revisione dei concordati, temi bioetici, diritti delle minoranze, amnistia e indulto e legge elettorale nazionale. “Per evitare che su materie così delicate una minoranza, divenuta maggioranza grazie al premio dell’Italicum e al meccanismo del ballottaggio, possa decidere da sola e senza un adeguato confronto – conclude Gotor – Le nostre proposte non sono un prendere o lasciare, ma un prendere e ragionare“.
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