AMIENS – Al numero 2 di rue Charles Dubois c’è il museo di Giulio Verne. Al 44 la casa dove ha vissuto quattordici anni e dove è morto nel 1905. Dall’altra parte del piccolo parco che costeggia il boulevard Jules Verne c’è l’arrivo della quinta tappa di questo Tour de France falcidiato dalle cadute, cominciata 189 chilometri e mezzo prima ad Arras. Di caduti, invece, si è parlato per tutta la tappa: quelli della Grande Guerra, ricordati alla partenza e poi in altre trentaquattro punti della memoria: cimiteri, monumenti, cippi. Il paesaggio della Somme. Il trentaseiesimo “haut lieux” della Grande Guerra è Amiens, traguardo della tappa e cent’anni fa grande caposaldo delle retrovie francesi. Il primo luglio del 1916 le armate dell’Intesa scatenarono un’offensiva contro le linee tedesche, anche per alleggerire il fronte di Verdun. Fu un massacro.

Durante i primi minuti, i britannici perdettero ventimila uomini. I tedeschi disponevano di un’artiglieria potente e micidiale. L’offensiva fallì, la battaglia continuò per altri cinque mesi. E’ passata alla Storia come la battaglia della Somme: vi rimasero coinvolti tre milioni di soldati, 445mila non tornarono più, 615mila rimasero feriti e invalidi. Sarà la suggestione. La cupezza di certi ricordi. Il cielo plumbeo, le nuvole basse, la pioggia a tratti, il vento freddo e maligno che cambiava spesso direzione. Risultato: gruppo falcidiato dalle cadute. Nacer Bouhanni, il Cipollini francese, costretto al ritiro, lui che era stato incerto sino all’ultimo se partecipare o no alla Grande Boucle per via dei postumi di un incidente. Ha concluso il suo Tour all’ospedale di Arras. Per i francesi, una piccola grande tragedia.

Ha abbandonato pure il neozelandese Jack Bauer. Il comunicato medico pareva un bollettino di guerra: nove feriti nella prima caduta importante; nove nella seconda, anche se la lista è incompleta, perché si conclude con un inquietante “etc”. Contusioni, lacerazioni, brutte botte. Le bici scivolavano sull’asfalto che pareva cosparso di sapone. I grandi capi del gruppo decidevano di non scannarsi e non rischiare ossa rotte. Anzi, andavano in cima al plotone, dettando il ritmo, in omaggio all’antica legge che per evitare guai è meglio stare davanti, e non nella pancia del gruppo. Ci sono rimasti sino al regolamento dei conti finale, sopportando le inevitabili violente accelerate dei velocisti. Così, Nibali, Froome, Contador e Quintana hanno preferito sgomitare col mucchio selvaggio: l’hanno mollato nel rettilineo finale, restando però nella scia. Dei quattro, il più audace è stato Vincenzo: che sarà diciannovesimo. La volata si è svolta secondo copione.

Il tedescone André Greipel ha aspettato che gli avversari diretti lanciassero lo sprint. Li ha rimontati tagliando la carreggiata da destra a sinistra, tenendo a bada la rimonta quasi perfetta di Peter Sagan. Greipel ha bissato il successo di Zelanda. Sagan, secondo le rilevazioni cronometriche, è sempre il più veloce negli ultimi cento metri. Peccato che parta da troppo lontano. Mark Cavendish ha perso lo spunto fulminante di due anni fa: si è piazzato terzo, davanti ad Alexander Kristoff, Edvald Boasson Hagen e John Degenkolb. L’élite dello sprint mondiale. Greipel ha nome francese, da piccolo amava leggere i romanzi di Verne. Ha il viso di un vecchio e il sorriso di un ragazzo. Nel giorno che la Grande Boucle ricorda Verne e soprattutto la grande carneficina della Prima Guerra Mondiale, sotto la bellissima cattedrale il Tour ha festeggiato tanta Germania. Tony Martin maglia gialla, Greipel in maglia verde, leader della classifica a punti e vincitore di tappa. Una sorta di rivincita, la Merkel sarà stata felice…

Ad Arras c’erano Stephen Roche, che vinse nello stesso anno, il 1987, Giro, Tour e Mondiale e il sempre in gamba Raymond Poulidor, 79 anni portati benissimo. Poupou non vinse mai il Tour e non indossò nemmeno per un giorno la maglia gialla. Partecipò a quindici Tour, otto volte salì sul podio. Nonostante tutto, i tifosi francesi lo adoravano, mentre non amavano il fuoriclasse Jacques Anquetil. Indimenticabile fu il duello tra i due sulle rampe assassine del Puy de Dôme, con un sole killer, il caldo soffocante alle pendici del vulcano: era il 1964, e si era alla resa dei conti. L’aristocratico Anquetil e il popolano Poupou. Il primo, modello di una Francia che vince. L’altro, l’eterno sconfitto.

Quel giorno lì Anquetil fu battuto. Perse 42 secondi. Aveva 56 secondi di vantaggio, gliene rimasero una manciata: “Ho 14 secondi di troppo”, mormorò a Raphael Geminiani, in un ultimo soffio di provocazione. Li conservò sino all’ultima tappa a cronometro, di cui era il re incontrastato. Conquistò il suo quinto Tour, con 55 secondi di vantaggio. I cinquantamila spettatori del Parc des Princes tributarono a Raymond un lungo applauso, più che all’algido Jacques. Oggi l’Ettore di allora elegge Nairo Quintana: “Rispetto ai rivali, ha quattro minuti di vantaggio in montagna, peccato ne abbia sciupati due…Va molto forte Froome. Il duello per la vittoria finale è tra questi due. Quintana è giovane, e questo è un altro vantaggio”.

Quanto ai sabotatori dell’articolo 12.1.040.29, quello che punisce il “comportamento scorretto in pubblico (urinare)”, noto che aumentano a vista d’occhio. Oggi non ha resistito alla minzione il bravo Purito Rodriguez, lo hanno imitato l’austriaco Matthias Brandle, il velocista francese Arnaud Demare (rivale di Bouhanni) e gli olandesi Roy Curvers e Steven Kruijswijk. La multa è sempre di 50 franchi svizzeri. Chi non ha letto Rabelais non può capire come l’articolo 12.1.040.29 ispiri pulsioni d’altro genere, ma in fondo ad esso correlate. Non ho vini particolari da segnalare. Amiens si è presentata con un buon assortimento di formaggi della Piccardia, ho assaggiato un’ottima crèpe ai porri e una la Ficelle picarde ai funghi e formaggio. Cucinava monsieur Philippe Vermesse, presidente dell’associazione Picardie’s Secret, nonché Chevalier de l’Ordre du Mérite Agricole, membro dell’Accademia nazionale di cucina e Grand Bailli de la Confrérie de la Marmite d’Or. Maglia gialla.

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