Quarantaquattro arresti e organizzazione di narcotrafficanti stroncata. Il blitz è scattato stamattina all’alba quando i carabinieri del Ros di Catanzaro hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere disposta dal gip del capoluogo calabrese.
In manette sono i finiti i componenti di un’associazione transnazionale legata alla ‘ndrangheta di Vibo Valentia. Tra gli arrestati, infatti, ci sono personaggi legati alla cosca Mancuso di Limbadi che erano in contatto con un’organizzazione criminale di albanesi e con i narcos del Sudamerica che rifornivano di cocaina i mercati del Nord Italia e del Nord Europa.
Le indagini, coordinate dalla Dda di Catanzaro, hanno consentito il sequestro di oltre 600 chili di polvere bianca oltre a individuare i flussi intercontinentali del narcotraffico. Il tutto grazie alla collaborazione con la Direzione centrale per i servizi antidroga e, soprattutto, a due agenti sotto copertura del Raggruppamento operativo speciale che sono riusciti ad avviare una trattativa con i narcos. Sono loro che hanno consentito l’indentificazione degli indagati colombiani e venezuelani che avevano rapporti con i trafficanti italiani.
Dall’inchiesta, iniziata nel 2005, è emerso che l’organizzazione aveva una base, composta da albanesi, impiantata a Fiano Romano, in provincia di Roma. Il gruppo di albanesi – ha riferito il procuratore della Repubblica di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo – è stato il destinatario di una delle consistenti partite di droga gestite dall’organizzazione, che estendeva le sue ramificazioni in più parti della Calabria ed anche in varie zone d’Italia ed all’estero. Le aree di origine del traffico sono state individuate in Venezuela, Colombia e Cile”.
Proprio in Cile si è consumato l’ultimo tentativo dei narcotrafficanti calabresi di importare cocaina in Italia. “Destinatari del traffico – ha aggiunto il procuratore Lombardo – sono diversi soggetti in varie zone del mondo, a conferma della transnazionalità dell’organizzazione”.
Per i loro traffici, gli indagati si erano rivolti a uno dei broker più affidabili della ‘ndrangheta reggina: il boss Domenico Trimboli, profondo conoscitore del Sudamerica che, però, da diversi mesi ha iniziato a collaborare con la giustizia fornendo al Ros un importante contributo sulle dinamiche dei cartelli colombiani. Secondo gli investigatori, le “cellule” albanesi erano tra le più pericolose, tanto da tenere sequestrato un vibonese come garanzia della buona riuscita di un traffico di cocaina.
Fondamentali, anche per quest’inchiesta, sono state le intercettazioni telefoniche e ambientali e la capacità dei carabinieri di decifrare il linguaggio criptico degli indagati i quali per definire la cocaina utilizzavano il termine “ragazza” mentre la Spagna era il “cavallo”, uno dei canali utilizzati per far arrivare la droga in Italia.
Per incastrare i vertici dell’organizzazione di trafficanti, gli inquirenti avevano creato anche una società ad hoc per mettersi in contatto con i narcotrafficanti. Si tratta – ha affermato il procuratore aggiunto di Catanzaro Giovanni Bombardieri – della ‘Ligure Servizi’, all’interno della quale operavano i due sotto ufficiali infiltrati. La cocaina seguiva il percorso Colombia-Spagna-Italia”.
La trattativa con i sudamericani si svolgeva in Spagna e, una volta conclusa, i corrieri consegnavano 60mila euro alla ‘Ligure Servizi’. Ecco quindi che la droga, prodotta in Colombia e poi portata in Europa, finiva in Italia dove poi veniva spacciata. Non prima, però, di essere stata tagliata in Calabria. “La raffineria del clan – ha aggiunto Bombardieri nel corso della conferenza stampa – si trovava a Spilinga dove c’era un uomo fatto arrivare apposta dalla Colombia per insegnare ai calabresi a raffinare la coca e a estrarla. Molto spesso, infatti, la droga arrivava attraverso vestiti imbevuti di cocaina liquida. Con un processo inverso andava estratta dagli indumenti. È stato un chimico colombiano a insegnare ai calabresi questo tipo di estrazioni”.
La raffineria è stata costantemente monitorata dai carabinieri che sono riusciti anche a piazzare delle microspie all’interno del casolare allestito dai Mancuso in provincia di Vibo Valentia e oggi sequestrato dalla Direzione distrettuale antimafia. La droga non era nascosta solo nei vestiti. Gli investigatori hanno scoperto un carico di pavimenti in cui la cocaina grezza era parte integrante delle piastrelle che, una volta arrivate a destinazione, venivano lavorare per estrarre lo stupefacente che poi veniva raffinato e tagliato.