Dovesse mai arrivare la concessione di un altro pacchetto di aiuti ai greci, il terzo dall’inizio della crisi, le cose potrebbero mettersi male per Angela Merkel. La “cancelliera di ferro”, come qualche giorno fa l’ha definita la Bild Zeitung, potrebbe essere costretta al voto di fiducia al Bundestag per riportare i parlamentari del suo stesso partito sulla retta via. Non è un mistero che gli euroscettici nella Cdu siano molti di più di uno sparuto drappello. Basta parlare di aiuti finanziari che a tanti viene l’orticaria. Gli irriducibili dell’austerità si trovano soprattutto nel partito gemello bavarese, tra i duri e puri della Csu, contrari ad aprire le casse, quali siano le condizioni e fosse pure per salvare l’euro. Sueddeutsche Zeitung titola: “La fazione del no nell’Unione (Cdu-Csu) è sempre più rumorosa”. E ancora più netto è il vicecapogruppo parlamentare della Csu, Hans-Peter Friedrich: “I greci hanno il diritto di dire No. Adesso abbiamo anche noi il diritto di dire No”. Parole che danno il senso del rischio che la Merkel può correre in caso di un eventuale piano di salvataggio dovesse essere presentato al Bundestag.

Finora Angela Merkel ha navigato a vista e, se possibile, ha persino mantenuto una posizione defilata in pubblico. Una carenza di leadership politica, per alcuni, un segnale di pragmatismo, per altri. La cancelliera non esclude nessuna ipotesi, ma non ignora i problemi che l’uscita dalla Grecia dalla zona euro comporterebbe. Sui giornali tedeschi si parla di qualche pressione degli alleati Usa, per i quali la Grecia sarebbe pur sempre un tassello della Nato. Inoltre Angela Merkel non ha alcuna voglia di passare alla storia come la cancelliera che ha dato inizio al disfacimento della moneta unica. Per questo sembrerebbe propendere alla permanenza dei greci nella zona euro.

Se però, nel caso di una Grexit, la cancelliera non avrebbe problemi di consenso, dovrebbe invece stracciarsi le vesti per mettere tra i suoi parlamentari una maggioranza disponibile a votare un nuovo pacchetto di aiuti. A guidare i falchi nel partito è Wolfgang Bosbach, un volto noto agli spettatori di talk show. Tre anni fa votò contro il secondo pacchetto di crediti alla Grecia e, qualche mese fa, contro il prolungamento. Anche se a febbraio la decisione di prolungare gli aiuti ha avuto via libera al Bundestag, già allora oltre 100 esponenti del gruppo parlamentare avevano espresso perplessità. Oggi la situazione nelle file nel partito non è migliorata. Alcuni, come Klaus-Peter Willsch (Cdu), reputano ogni promessa di riforma dei greci “un grande bluff“. Il fronte degli avversari si ingrossa. Bisogna però vedere quanti realmente non seguirebbero la Kanzlerin nel caso il Parlamento dovesse votare per sbloccare ulteriori crediti.

Anche tra le file dei socialdemocratici, gli alleati del governo di Grosse Koalition di Angela Merkel, la situazione non è meno incandescente. Il presidente della Spd Sigmar Gabriel, nonché vice-cancelliere, è stato messo sotto accusa dalla sinistra del partito per aver definito il referendum greco un segnale di “definitiva rottura dei ponti”. Una posizione inopportuna e affrettata, a detta di molti compagni di partito. Nei giorni successivi Gabriel ha assunto toni più concilianti e ha dichiarato che “la Grecia non può essere abbandonata a se stessa”, spingendosi a ipotizzare una “riduzione del debito”. Eppure, al di là delle parole e di generici appelli alla solidarietà, non si può negare che anche nella Spd cresca la tentazione della Grexit. Una tentazione trasversale.

Una fetta dell’elettorato tedesco è contraria a ulteriori aiuti finanziari in nome dell’euro, nel timore che questi si ripercuotano sulle tasche del contribuente. Nessun partito è disposto a ignorarlo – fatta eccezione per la Linke. Men che mai il partito di Angela Merkel. La Cdu-Csu sente la concorrenza alla propria destra degli anti-europeisti della AfD (Alternativa per la Germania) che, guarda caso, proprio in questi giorni ha visto un avvicendamento ai propri vertici. All’ex presidente, l’economista Bernd Lucke, è subentrata la più carismatica Frauke Petry. Alcuni esponenti dell’ala moderata minacciano di uscire per timore di uno slittamento a destra. Bernd Lucke lo ha già fatto. I segnali di apertura della nuova leader Petry al movimento islamofobico e anti-immigrazione Pegida confermano a detta dei commentatori la radicalizzazione del partito. L’euro e la vicenda greca potrebbero essere un motivo di polarizzazione nella politica tedesca.

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