L'ex militare della Wehrmacht era stato condannato dai tribunali italiani (fino alla Cassazione) perché ritenuto colpevole di due diverse rappresaglie a Branzolino e a San Tomè, tra il 28 agosto e il 9 settembre 1944. La notizia è stata data dal sindaco di Greven, dove l'ex soldato viveva, al collega di Forlì: le due città sono da tempo legate "nel nome di pace, libertà e ricerca della verità storica"
E’ morto contumace a Greven, in Germania, Heinrich Nordhorn, ex ufficiale della Wehrmacht ritenuto colpevole di aver dato l’ordine di uccidere 10 civili per impiccagione a San Tomè e Branzolino, frazioni di Forlì, tra il 28 agosto e il 9 settembre 1944. Nordhorn, che aveva 97 anni, era comandante del plotone genio pionieri del 525° reggimento corazzato cacciacarri pesanti: era stato condannato all’ergastolo nel 2006 dal tribunale militare di La Spezia, sentenza poi confermata dalla Corte Militare d’Appello e dalla Corte di Cassazione. A dare la notizia è stato il Comune di Forlì: il sindaco Davide Drei ha ricevuto una lettera dal collega di Greven, dove l’ex ufficiale tedesco viveva. “Legata a questa memoria e a quelle vicende – scrive in una nota il Comune forlivese – ha preso vita un rapporto di amicizia fra le due città, Forlì e Greven, che nel nome dei valori della pace, della libertà, del rispetto e della ricerca della verità storica ha intessuto relazioni”. La morte di Nordhorn, dunque, “chiude le vicende terrene ma non la ferita del dolore generato dall’occupazione nazista e dalla guerra, che rimarrà indelebile nella memoria della nostra città”.
A Branzolino, il 28 agosto del 1944, furono uccisi 4 partigiani: Ivo Gamberini, Secondo Cervetti, Ferdinando Dell’Amore e Giovanni Golfarelli. Erano stati arrestati all’inizio del mese dalla milizia fascista, torturati e sbattuti in prigione. Ma nella notte tra il 27 e il 28 agosto un soldato tedesco era rimasto ferito per lo scoppio di un ordigno, forse riconducibile a un’azione dei partigiani, ma sulla cui origine sono rimasti comunque dubbi. Per questo, comunque, partì la rappresaglia dei nazisti: Gamberini, Cervetti, Dell’Amore e Golfarelli furono portati sul luogo dello scoppio della bomba e impiccati ai bordi della strada. I parenti delle vittime ebbero problemi a seppellire i loro cari: i nazisti e i fascisti li allontanavano con il calcio dei fucili.
Il 9 settembre l’ombra nera delle stragi nazi-fasciste arrivò su San Tomè. A morire, ancora impiccati, furono Emilio e Massimo Zamorani, Michele Mosconi, Celso Foietta, Antonio Gori (detto Natale) e Antonio Zaccarelli, tutti arrestati dai fascisti. Gli Zamorani, in particolare, furono sorpresi e bloccati a Villa Vezzano da alcuni fascisti della Brigata nera di Riolo, al comando di Raffaele Raffaeli, segretario del Partito fascista a Faenza. Massimo Zamorani aveva 25 anni: “Perché non sei militare?” gli chiesero i fascisti. “Mio padre è ebreo e mia madre è cattolica” rispose lui. “E’ lo stesso – fu la risposta – dovete andare ad un campo di concentramento”. Ancora una volta la loro impiccagione fu per rappresaglia: un tedesco, il caporalmaggiore Walter Müller fu ferito dallo scoppio di una mina nella notte tra l’8 e il 9 settembre. Müller morì dopo due settimane. Ma i 6 furono messi a morte il giorno dopo. Già nel primo pomeriggio del 9 settembre iniziò il rastrellamento tedesco con la collaborazione dei fascisti italiani. Con le armi in pugno obbligarono la popolazione ad assistere all’impiccagione per l’intera sua durata. Furono radunate circa 200 persone. Mosconi, prima dell’esecuzione, gridò la sua innocenza, il suo cognome e la provenienza da Civitella di Romagna, ed inneggiò all’Italia. L’ufficiale tedesco che coordinava le operazioni gli intimò di tacere. Tra coloro che furono costretti a vedere il macabro spettacolo i fascisti e i nazisti selezionarono chi deportare in Germania. Anche a San Tomè, come a Branzolino, le salme furono lasciate appese per quasi due giorni. La fossa comune fu poi scavata da alcuni abitanti, costretti dai tedeschi.
Di tutto questo fu ritenuto colpevole, tra gli altri, Heinrich Nordhorn che secondo la magistratura italiana dette l’ordine per quegli assassinii. Su quei fatti l’esercito britannico ricostruì le vicende ma il processo non si tenne nell’immediato, anche perché i fascicoli furono sistemati in archivi italiani resi inaccessibili e ritrovati solo a metà degli anni Novanta in quello che è passato alle cronache (e ormai alla storia) con il nome di armadio della vergogna. Tuttavia l’ex militare tedesco è sempre rimasto in Germania, dove ora è morto. I tribunali e la diplomazia tedesca, infatti, da una parte hanno spesso respinto di rendere esecutive le pene decise dai giudici italiani e dall’altra sono sempre stati restii a concedere l’estradizione per i suoi ex militari condannati. Un altro caso, raccontato da ilfattoquotidiano.it, è quello di Johann Robert Riss, ritenuto responsabile dell’eccidio di Padule di Fucecchio, in Toscana. Ma sono circostanze che valgono anche per la strage di Sant’Anna di Stazzema, con l’unico ex SS ancora in vita, Gerhard Sommer, per il quale la Procura di Amburgo ha archiviato l’inchiesta, nonostante la condanna all’ergastolo in Italia. Marco De Paolis, il pm che ha indagato sulle principali stragi dei reggimenti al servizio del Terzo Reich che occuparono l’Italia, in un’intervista al fatto.it disse che “tranne un caso che riguarda Marzabotto, in cui fu detto esplicitamente che non si sarebbe dato corso all’esecuzione della condanna all’ergastolo, i giudici tedeschi non hanno mai dichiarato di non voler istruire e celebrare i processi. Semplicemente non li hanno mai fatti“.