Analizziamo l’andamento della televisione nei primi sei mesi dell’anno. Innanzitutto va rilevato che il numero degli ascoltatori medi giornalieri (vedi tabella) è rimasto sostanzialmente immutato rispetto all’anno precedente (anche la popolazione, come indicato dall’Istat, è rimasta stabile). Un leggero calo è stato fatto registrare dal target commerciale (25-54 anni), quello teoricamente più sensibile alle novità mediatiche e predisposto ad accogliere le proposte dei new media e che, secondo alcuni esperti, avrebbe dovuto, in tempi anche celeri, abbandonare definitivamente la Tv.
La televisione non è morta e non sembra nemmeno prossima la sua fine. D’altronde era assurdo ipotizzare una tale conclusione. Quale comodità è più ‘comoda’ della Tv per distrarsi e informarsi, oltretutto gratuitamente! Cambiano di certo i modelli di televisione (vedi la crisi della Tv generalista), le modalità di accesso ai video, grazie al web, che porteranno al ridimensionamento del classico televisore. Pensare però che il web sostituisca la televisione è assurdo. Addirittura è forse la Tv a insidiare internet. Non a caso sui principali social, il “gioco” che va per la maggiore, proprio fra i giovani (gli stessi che, a parole, rifiutano la Tv come fosse la “figlia del diavolo”), è commentare cosa accade in televisione. Eravamo un paese di commissari tecnici, siamo ora il paese di critici televisivi!
Sulla Tv e sulle sue prospettive pesa molto il giudizio, largamente negativo, sulla nostra televisione. L’invito di tanti di astenersi dal video nasce proprio da questa constatazione. La realtà però è un po’ diversa. Abbiamo una discreta-buona televisione, come valore medio, per quanto riguarda l’intrattenimento, la fiction, i documentari (su questo genere si sta formando una scuola di bravi professionisti), e una pessima, ma proprio pessima televisione per quanto riguarda l’informazione, e ciò oscura anche il buono che c’è negli altri generi.Ed è proprio l’informazione (Tg, programmi d’informazione, talk) della Rai a essere sotto accusa (esclusi i programmi di Gabbanelli e Iacona). Dal servizio pubblico si aspetterebbe il racconto più fedele della realtà e non, come avviene spesso, l’esposizione di verità precostituite; dal servizio pubblico si aspetterebbero conduttori equilibrati e non schierati.
Le avvisaglie fanno presagire che, con i prossimi vertici, la situazione potrebbe anche peggiorare. Ipotizzare allora la privatizzazione della Rai, diventata una “favola al servizio non del pubblico ma dello Stato” (Aldo Grasso), non sarà più una sola opzione accademica. Riuscirà il management della Rai, finora piegato agli interessi dei potenti, ad avere un sussulto di orgoglio? C’è da dubitare, la lottizzazione ha come spento anche le persone libere: la difficoltà, come si sa, non sta nel credere alle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie.
L’andamento degli ascolti (vedi tabella) evidenzia che il mercato Tv non è più immutabile come un tempo. Rai e Mediaset insieme arrivano ora al 70% di share contro il 79% di cinque anni fa. Si salvano grazie ai canali tematici, spesso, in particolare da Rai, non adeguatamente sfruttati (segnalo comunque per Raisport le belle telecronache del basket e del ciclismo). Raiuno, nonostante il Festival di Sanremo, è solo al 17%. L’unica novità è il successo del gruppo Discovery, passato in pochi anni al 6% di share.
La sensazione è che, sottotraccia, si stia ridisegnando (vedi la proposta di legge sulla governance e sul canone Rai) un nuovo assetto della televisione, con nuovi protagonisti e qualche vecchia gloria ridimensionata. Di questo parleremo in un successivo post.