Con 277 sì, 173 no e 4 astenuti il testo Renzi-Giannini ha superato anche l'ultimo ostacolo, come sempre tra proteste e critiche. Ciò che è diventato legge dello Stato è però molto diverso dal progetto iniziale, modificato da trattative, concessioni politiche, polemiche e dietrofront del governo
La Buona Scuola è legge. Dopo mesi di trattative e proteste, ritardi e retromarce, la Camera ha approvato in via definitiva il ddl di riforma targato Renzi-Giannini: 277 sì, 173 no e 4 astenuti nel voto finale a Montecitorio. Una formalità, in fondo, perché la vera battaglia si era consumata al Senato a fine giugno, con la fiducia al maxi-emendamento che aveva blindato il testo, trovando un compromesso con la minoranza interna al partito. Subito le assunzioni dei precari (o almeno di una parte di essi), l’anno prossimo il resto. Ovvero l’autonomia scolastica, i poteri dei presidi, la valutazione dei docenti. È l’impianto che il presidente del Consiglio e il ministro dell’Istruzione avevano annunciato in pompa magna lo scorso settembre. Anche se rispetto a quel documento programmatico tanti sono stati i cambiamenti, nel tentativo di far accettare una riforma che al mondo della scuola non è mai piaciuta.
SUPER PRESIDI, ASSUNZIONI E VALUTAZIONE – Quella della riforma della scuola Renzi-Giannini è una storia sbagliata. Nata nell’autunno del 2014 per risolvere il problema annoso delle graduatorie, forse pensata anche come nuova trovata elettorale dopo i famosi “80 euro”. L’assunzione di 150mila precari avrebbe dovuto portare al governo consenso. Invece si è trasformata in un clamoroso boomerang. Un po’ per i calcoli sbagliati del Ministero: quella cifra, sbandierata e messa nero su bianco a settembre, si è rivelata nei mesi irrealistica ed è stata ridotta di un terzo. Poi per i criteri delle immissioni in ruolo, di fatto obbligati (lo svuotamento delle graduatorie preesistenti era ineludibile), ma che hanno scatenato le proteste degli esclusi. Infine per il resto contenuto nella riforma: gli organici funzionali (anche questi fondamentali per permettere le assunzioni supplementari), la valutazione dei docenti e i poteri dei presidi (per la “rivoluzione meritocratica”, cavallo di battaglia dell’ideologia renziana), l’alternanza scuola/lavoro e gli sgravi alle paritarie (tanto cari agli alleati centristi di governo).
I DIETROFRONT DEL GOVERNO – Il risultato è stato un caos durato quasi un anno. In realtà, buona parte dei punti più contestati de La Buona Scuola sono stati rivisti nel corso dei mesi. La riforma, che avrebbe dovuto essere presentata in primavera, è arrivata a conclusione solo in piena estate, dopo numerosi rinvii. Colpa dei tanti problemi da affrontare. Il governo, ad esempio, ha dovuto fare marcia indietro sul progetto di abolizione degli scatti di anzianità in favore dei bonus di merito (che ci saranno, ma in forma supplementare e non sostitutiva ai gradoni). Questo attenua la portata effettiva della valutazione degli insegnanti da parte di un comitato interno (a cui alla fine è stato aggiunto un membro esterno, ulteriore clausola di garanzia). Così come sono stati limitati i poteri dei presidi, con alcuni paletti nella chiamata dei docenti e con un limite temporale al loro mandato. Anche sugli idonei dell’ultimo concorso, inizialmente esclusi dalle assunzioni, Renzi ha dovuto cambiare idea dopo essersi esposto pubblicamente. Non è bastato, però, per sopire le proteste.
SCIOPERI E PROTESTE: “MAI PIÙ PD” – Il malcontento nei confronti della riforma è stato immediato ed è andato in crescendo nel corso dei mesi. A scatenarlo, soprattutto le proteste dei precari esclusi dal piano di assunzioni. Ma anche gli altri punti contestati della riforma hanno compattato (come mai prima d’ora) i sindacati. L’apice della mobilitazione è stata ad inizio maggio, con lo sciopero massiccio del 5, abbinato al blocco degli scrutini e al boicottaggio degli invalsi. A nulla sono valse le parziali concessioni da parte del governo. Gli insegnanti di tutta Italia sono scesi in piazza al grido di “Mai più Pd”, coltivando quotidianamente la rivolta anche sul web. E che Renzi si sia inimicato (in maniera forse permanente) una fetta di elettorato tradizionalmente schierato a sinistra è più che un’impressione: il risultato negativo delle ultime Regionali è arrivato anche sull’onda del dissenso da parte del mondo della scuola. Persino il partito si è spaccato, con la rottura di Stefano Fassina consumatasi proprio sulla riforma.
IL BRACCIO DI FERRO IN PARLAMENTO – Per questo insieme di cose l’approvazione si è rivelata molto più lunga e travagliata del previsto. Fino a metà giugno è rimasta in forse, con la battaglia in Parlamento e la presentazione di migliaia di emendamenti. Poi l’ultimatum di Renzi, la concessione sulle assunzioni, l’accordo nella maggioranza e i voti decisivi al Senato e alla Camera. Ora la riforma finalmente è legge. Per capire se sarà veramente una “buona scuola” bisognerà aspettare più di un anno, visto che andrà a regime soltanto nel 2016. Intanto si metterà in moto la macchina burocratica per realizzare già a settembre il più alto numero possibile di assunzioni. E continueranno le proteste.