Continuo rimpallo della legge tra Camera e Senato. Forti pressioni di sindacati e associazioni di polizia. La commissione Giustizia di Palazzo Madama ha cambiato per l’ennesima volta il testo. Rendendo difficile una sua approvazione in tempi brevi. Come auspicato da Onu, Amnesty International e Antigone. Il senatore De Cristofaro: "C'è una precisa volontà politica per affossare la riforma"
Sembra proprio che il Parlamento italiano non voglia recepire il reato di tortura neanche in questa legislatura. Il continuo rimpallo tra Camera e Senato del provvedimento che darebbe attuazione alla Convenzione Onu del 1984 introducendo il reato nel nostro ordinamento fa pensare ad “una precisa volontà politica” di voler affossare la questione, come osserva il senatore di Sel Peppino De Cristofaro.
La commissione Giustizia del Senato ha cambiato, infatti, per l’ennesima volta il testo rendendo difficile una sua approvazione in tempi rapidi, così come era stato auspicato invece dal Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura e da associazioni come Amnesty International e Antigone. “Il testo così come era stato licenziato dalla Camera – sottolinea De Cristofaro – non era certo il migliore dei testi possibili, ma una sua rapida approvazione avrebbe consentito all’Italia di mettersi subito in linea con gli altri Paesi europei”. L’Italia infatti è uno dei pochissimi Paesi della Ue a non avere ancora nel suo codice il reato di tortura e questo per esponenti della maggioranza come il presidente della commissione per la tutela dei diritti umani Luigi Manconi “è a dir poco inaccettabile”.
Così, dopo 30 anni di attesa (la Convenzione Onu sulla tortura è del 1984) e diverse legislature in cui ogni tentativo di considerare la tortura come un vero reato è risultato vano, la possibilità che la situazione si sblocchi sembra remota. E questo, si sottolinea nell’opposizione, soprattutto per il pressing che le forze dell’ordine starebbero facendo sui singoli parlamentari per evitare che si concretizzi questa tipologia di reato. “La resistenza che si avverte sulla tortura – insiste De Cristofaro – è la stessa che è stata esercitata contro un altro provvedimento chiave, quello sui numeri identificativi per le forze dell’ordine” che al momento continua a restare ben chiuso in uno dei cassetti della commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano, dopo aver chiesto più volte di rinviare l’esame del provvedimento, ha ottenuto infatti che il ddl venisse discusso insieme ad un altro progetto di legge, quello sulla sicurezza urbana che si sarebbe dovuto mettere a punto per l’Expo. Ma questo non è ancora approdato in Parlamento. Sel e il M5S sembrano intenzionati a rilanciare su entrambi i temi: la tortura e i numeri identificativi per gli agenti delle forze dell’ordine, ma l’ennesimo stop arrivato dalla commissione Giustizia del Senato non induce all’ottimismo.
Il testo sulla tortura infatti dovrà tornare ora alla Camera che potrebbe cambiarlo di nuovo. E di modifica in modifica il disegno di legge rischia di non vedere mai la luce. “Ho incontrato gli esponenti del Sindacato autonomo di polizia (Sap) – racconta il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri – del Conapo e della Consulta sicurezza delle forze di polizia per sostenere la loro campagna contro l’attuale testo della legge sulla tortura” e la conclusione a cui si è arrivati è che il testo vada “bloccato e riscritto completamente“. Cosa che puntualmente si è verificata in commissione. “Non siamo a favore della tortura – precisa il parlamentare di FI – ma non vogliamo leggi che impediscano agli operatori che devono garantire la sicurezza dei cittadini di agire con la certezza di poterlo fare a tutela della legalità”.
Il vero “incubo” per le forze dell’ordine interpellate è che il reato di tortura si possa far valere in casi come quello del G8 di Genova o di Stefano Cucchi o di Federico Aldrovandi, i giovani morti dopo essere stati fermati dalla polizia, anche se le norme sono già state “sostanzialmente edulcorate” proprio per evitarlo. Escludendo ad esempio che si configuri il reato prima che le vittime siano state arrestate.
La commissione di Palazzo Madama, infatti, insiste De Cristofaro “ha sensibilmente peggiorato il testo”. Prima di tutto si riducono le pene (da 4 a 10 anni diventano da 3 a 10 anni e nel caso dell’aggravante, cioè se commessa da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, si passa dai 5-15 anni ai 5-12) . Poi, si precisa meglio ciò che fa scattare la condanna a 10 anni: reintroducendo i concetti di “reiterate violenze“, dell’ agire “con crudeltà’“, di “verificabile trauma psichico”. Nel testo della Camera era stato specificato: “Se i fatti sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso di poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio si applica la pena della reclusione da cinque a quindici anni”.
L’emendamento approvato al Senato invece cambia e non poco: “Se tali fatti sono commessi da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni o da un incaricato di un pubblico servizio nell’esecuzione del servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni”. Facendo cadere così la parte relativa all'”abuso di poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione“. Novità anche per i respingimenti. Nel testo Camera non si poteva attuare l’espulsione o il respingimento verso uno Stato dove lo straniero potesse essere oggetto di persecuzione, ma questo per alcuni senatori avrebbe impedito qualsiasi respingimento. Così si è deciso di cambiare la formula vietando il respingimento o l’espulsione verso uno Stato solo “qualora esistano fondati motivi di ritenere che la persona rischi di essere sottoposta a tortura”.
In Aula daremo battaglia, assicurano Sel e M5S, ma è probabile che non basti perché il reato veda la luce in questa legislatura. Come si intuisce dal commento della presidente della commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti, Pd: “Probabilmente dovremo cambiare tutto di nuovo perché il testo così come è uscito dal Senato è meglio che non venga approvato…”.
di Marianna Lay
*Riceviamo e pubblichiamo l’intervento di Gianni Tonelli, segretario generale Sap
Gentile Direttore,
ho avuto modo di leggere l’articolo firmato da Marianna Lay in merito al reato di tortura e le chiedo la possibilità di poter esprimere la mia opinione. La posizione del Sap è chiara. La nostra non è una azione di autotutela corporativa. Se fosse tale avremmo tentato una azione di lobby nelle segrete stanze del palazzo mentre per contro abbiamo acquistato nelle settimane scorse innumerevoli pagine di quotidiani e distribuito 500mila opuscoli illustrativi con i quali abbiamo portato a conoscenza l’opinione pubblica sui reali contenuti del progetto di legge. Un esercizio di democrazia non gradito, a nostro avviso, al partito dell’Antipolizia che intendeva e ancora intende approvare un manifesto ideologico sotto le mentite spoglie della civiltà giuridica e delle convenzioni internazionali. I comportamenti di tortura devono essere puniti con fermezza, intransigenza e severità, ma questo disegno di legge è tutta un’altra cosa. Come Sap siamo impegnati da tempo per impedire che nel nostro ordinamento sia introdotto un reato di tortura penalizzante per le forze di polizia. Credo si tratti di una battaglia legittima, soprattutto perché partiamo da due assunti incontrovertibili. In primis, nel nostro ordinamento le fattispecie riconducibili a comportamenti di tortura sono già presenti e pesantemente punite: basti pensare al sequestro di persona, alle lesioni, all’abuso di autorità, alla violenza privata e quant’altro. Da sempre sosteniamo che una pacata discussione parlamentare, non ideologizzata, avrebbe potuto valutare meglio quanto già presente nel nostro codice penale e nel codice di procedura penale. In secundis, noi siamo il sindacato che da anni e più di altri si batte per la totale trasparenza dell’operato delle forze dell’ordine che si può realizzare soltanto in un modo: telecamere. Telecamere ovunque. Sulle nostre divise, nei nostri uffici e sulle volanti, sempre in funzione, con tutte le garanzie di legge che permettano di assicurare i cittadini sulla bontà delle immagini, con un controllo della magistratura e del Garante della privacy. Vogliamo certificare ogni nostro respiro, ma pretendiamo anche che siano certificati comportamenti violenti a danno delle donne e degli uomini in divisa. Le telecamere superano in un solo colpo il problema degli alfanumerici, che oggi sono diventati obsoleti proprio perché la tecnologia permette di avere strumenti più fattivi, e darebbero un contributo fondamentale al dibattito sul reato di tortura. Soprattutto, se avessimo avuto le telecamere anche negli ultimi 10 anni, alcuni noti casi di cronaca che tante polemiche hanno destato, da Cucchi ad Aldrovandi, dove purtroppo sono morti dei ragazzi, sarebbero stati gestiti in modo ben diverso sia dai media che dai tribunali. In ogni caso, voglio essere costruttivo e guardare avanti. Su un giornale certamente non a noi vicino come il Garantista abbiamo realizzato nei giorni scorsi un forum in redazione per parlare del reato di tortura. Il dibattito si è svolto tra me e Sergio d’Elia, moderato con maestria dal direttore Sansonetti. Allego l’articolo relativo. Sono disponibile a qualsiasi confronto e eventualmente a ripetere con voi l’esperienza. Grazie per l’eventuale disponibilità.
Cordiali saluti.
Gianni Tonelli
Segretario Generale SAP