Due anni dopo aver sostenuto l’apertura dei negoziati sul famigerato TTIP (Transatlantic trade and investment partnership), la grande coalizione dei conservatori, socialisti e liberali che governa il Parlamento Europeo aveva incontrato qualche difficoltà a trovare una maggioranza sicura per un voto tranquillo, in particolare sul punto ultrasensibile della ISDS (Investor-State dispute settlement- il meccanismo di risoluzione delle controversie tra investitori e Stati ); e così, il Presidente Schulz, interprete massimo della Grosse coalizione in salsa europea, ha prima imposto con un cavillo il rinvio del voto previsto il 10 giugno scorso e poi ha usato queste settimane per fare un pressing incessante in particolare sul suo gruppo per fare accettare una versione detta di “compromesso” della risoluzione sull’accordo con gli americani.
Martin Schulz (quello del kapo di Berlusconi) animato come sempre da un’ambizione personale che lo fa passare sopra praticamente tutto, ha oggi tre obiettivi, ovviamente legati alla sua persona, che spiegano i toni inspiegabilmente duri con la Grecia e il suo totale cinismo sul TTIP; da un lato, aspira a continuare al suo posto di Presidente del PE anche dopo la fine dell’anno prossimo, data di scadenza del suo mandato; deve quindi dimostrare ai conservatori che è inutile cambiare cavallo, perché lui fa benissimo ciò che vogliono loro. Poi ha l’ambizione di diventare ministro degli esteri tedesco e di recente si è parlato di lui addirittura come candidato SPD al cancellierato alle prossime elezioni in Germania (date già per perse). Tutte le sue gesta nei prossimi mesi dovranno perciò essere interpretate alla luce di questi nobili scopi.
E così, nel giorno del discorso di Tsipras al Parlamento europeo, – e dopo esser stato duramente contestato per il suo atteggiamento intransigente e molto teutonico sulla Grecia -, Schulz, con l’appoggio di PPE, liberali (i partiti del big business) e socialisti (il partito delle battaglie non fatte) è riuscito nel suo intento: mettere ai voti un testo ambiguo, nel quale il Parlamento europeo ha approvato con 436 voti a favore, 241 contro e 30 astensioni, una serie di raccomandazioni che danno il via libera, pur con qualche mal di pancia qua e là, a un progetto di trattato transatlantico; progetto che minaccia da vicino diritti acquisiti e libertà di scelta degli europei (e degli americani) in settori chiave dell’economia e della società, in nome del dogma della primazia dell’impresa, soprattutto se grande e transnazionale. Il testo contiene solo raccomandazioni certo, ma ha una notevole importanza politica e istituzionale, perché il PE ha il potere di approvazione o rigetto del Trattato alla fine dei negoziati; la risoluzione ha ottenuto una maggioranza ampia che ci ha un po’ sorpreso, dato il lavoro intenso di opposizione, di informazione e sensibilizzazione fatto da cittadini, consumatori, sindacati, piccole e medie imprese fino al 10 giugno almeno: poi, è bene sottolinearlo, non è stato possibile mantenere lo stesso livello di mobilitazione, il contenuto è diventato scivoloso, e la convinzione che si potesse tener buona l’opposizione fuori dal PE con un giochetto di parole ed eliminando il riferimento concreto all’ISDS ha convinto molti deputati ad abbandonare la battaglia.
Eppure, non c’è da farsi alcuna illusione: finché esiste un meccanismo che permette agli investitori di fare causa agli Stati così come previsto dal compromesso, una specie di grado di giudizio a loro dedicato con tribunali speciali, è impossibile evitare gli effetti negativi che tale arbitrati possono avere su regole e scelte pubbliche; infatti, questo sistema, nato decenni fa per riparare dai rischi di ordinamenti volatili e poco stabili gli investimenti nei paesi in via di sviluppo e in particolare dell’America Latina, è espressione di una sostanziale mancanza di fiducia nei sistemi giudiziari dei paesi membri per la protezione degli interessi delle imprese multinazionali. Comunque, inutile scoraggiarsi per questa mezza vittoria del fronte pro-TTIP a forza di cavilli e compromessi verbosi; la battaglia è ancora lunga e lungi dall’essere persa.
Monica Frassoni
Verde europea
Zonaeuro - 9 Luglio 2015
Ttip: la battaglia continua dopo la mezza vittoria del fronte del sì al Parlamento Europeo
Due anni dopo aver sostenuto l’apertura dei negoziati sul famigerato TTIP (Transatlantic trade and investment partnership), la grande coalizione dei conservatori, socialisti e liberali che governa il Parlamento Europeo aveva incontrato qualche difficoltà a trovare una maggioranza sicura per un voto tranquillo, in particolare sul punto ultrasensibile della ISDS (Investor-State dispute settlement- il meccanismo di risoluzione delle controversie tra investitori e Stati ); e così, il Presidente Schulz, interprete massimo della Grosse coalizione in salsa europea, ha prima imposto con un cavillo il rinvio del voto previsto il 10 giugno scorso e poi ha usato queste settimane per fare un pressing incessante in particolare sul suo gruppo per fare accettare una versione detta di “compromesso” della risoluzione sull’accordo con gli americani.
Martin Schulz (quello del kapo di Berlusconi) animato come sempre da un’ambizione personale che lo fa passare sopra praticamente tutto, ha oggi tre obiettivi, ovviamente legati alla sua persona, che spiegano i toni inspiegabilmente duri con la Grecia e il suo totale cinismo sul TTIP; da un lato, aspira a continuare al suo posto di Presidente del PE anche dopo la fine dell’anno prossimo, data di scadenza del suo mandato; deve quindi dimostrare ai conservatori che è inutile cambiare cavallo, perché lui fa benissimo ciò che vogliono loro. Poi ha l’ambizione di diventare ministro degli esteri tedesco e di recente si è parlato di lui addirittura come candidato SPD al cancellierato alle prossime elezioni in Germania (date già per perse). Tutte le sue gesta nei prossimi mesi dovranno perciò essere interpretate alla luce di questi nobili scopi.
E così, nel giorno del discorso di Tsipras al Parlamento europeo, – e dopo esser stato duramente contestato per il suo atteggiamento intransigente e molto teutonico sulla Grecia -, Schulz, con l’appoggio di PPE, liberali (i partiti del big business) e socialisti (il partito delle battaglie non fatte) è riuscito nel suo intento: mettere ai voti un testo ambiguo, nel quale il Parlamento europeo ha approvato con 436 voti a favore, 241 contro e 30 astensioni, una serie di raccomandazioni che danno il via libera, pur con qualche mal di pancia qua e là, a un progetto di trattato transatlantico; progetto che minaccia da vicino diritti acquisiti e libertà di scelta degli europei (e degli americani) in settori chiave dell’economia e della società, in nome del dogma della primazia dell’impresa, soprattutto se grande e transnazionale. Il testo contiene solo raccomandazioni certo, ma ha una notevole importanza politica e istituzionale, perché il PE ha il potere di approvazione o rigetto del Trattato alla fine dei negoziati; la risoluzione ha ottenuto una maggioranza ampia che ci ha un po’ sorpreso, dato il lavoro intenso di opposizione, di informazione e sensibilizzazione fatto da cittadini, consumatori, sindacati, piccole e medie imprese fino al 10 giugno almeno: poi, è bene sottolinearlo, non è stato possibile mantenere lo stesso livello di mobilitazione, il contenuto è diventato scivoloso, e la convinzione che si potesse tener buona l’opposizione fuori dal PE con un giochetto di parole ed eliminando il riferimento concreto all’ISDS ha convinto molti deputati ad abbandonare la battaglia.
Eppure, non c’è da farsi alcuna illusione: finché esiste un meccanismo che permette agli investitori di fare causa agli Stati così come previsto dal compromesso, una specie di grado di giudizio a loro dedicato con tribunali speciali, è impossibile evitare gli effetti negativi che tale arbitrati possono avere su regole e scelte pubbliche; infatti, questo sistema, nato decenni fa per riparare dai rischi di ordinamenti volatili e poco stabili gli investimenti nei paesi in via di sviluppo e in particolare dell’America Latina, è espressione di una sostanziale mancanza di fiducia nei sistemi giudiziari dei paesi membri per la protezione degli interessi delle imprese multinazionali. Comunque, inutile scoraggiarsi per questa mezza vittoria del fronte pro-TTIP a forza di cavilli e compromessi verbosi; la battaglia è ancora lunga e lungi dall’essere persa.
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Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "È quello che abbiamo chiesto. Ma capire è una parola inutile. Io non capisco niente e chi ci capisce è bravo. Si chiede, si fa e si combatte per ottenere rispetto. Capire no, mi spiace. Magari, capire qualcosa mi piacerebbe". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi ai cronisti che le chiedono se la giornalista potrà avere altre visite da parte dell'ambasciata.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - Nella telefonata di ieri "avrei preferito notizie più rassicuranti da parte sua e invece le domande che ho fatto... glielo ho chiesto io, non me lo stava dicendo, le ho chiesto se ha un cuscino pulito su cui appoggiare la testa e mi ha detto 'mamma, non ho un cuscino, né un materasso'". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "No, dopo ieri nessun'altra telefonata". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, ai cronisti dopo l'incontro a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni. "Le telefonate non sono frequenti. E' stata la seconda dopo la prima in cui mi ha detto che era stata arrestata, poi c'è stato l'incontro con l'ambasciatrice, ieri è stato proprio un regalo inaspettato. Arrivano così inaspettate" le telefonate "quando vogliono loro. Quindi io sono lì solo ad aspettare".
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Questo incontro mi ha fatto bene, mi ha aiutato, avevo bisogno di guardarsi negli occhi, anche tra mamme, su cose di questo genere...". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, lasciando palazzo Chigi dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Cerca di essere un soldato Cecilia, cerco di esserlo io. Però le condizioni carcerarie per una ragazza di 29 anni, che non ha compiuto nulla, devono essere quelle che non la possano segnare per tutta la vita". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
"Poi se pensiamo a giorni o altro... io rispetto i tempi che mi diranno, ma le condizioni devono essere quelle di non segnare una ragazza che è solo un'eccellenza italiana, non lo sono solo il vino e i cotechini". Le hanno detto qualcosa sui tempi? "Qualche cosa - ha risposto -, ma cose molto generiche, su cui adesso certo attendo notizie più precise".
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "La prima cosa sono condizioni più dignitose di vita carceraria e poi decisioni importanti e di forza del nostro Paese per ragionare sul rientro in Italia, di cui io non piango, non frigno e non chiedo tempi, perché sono realtà molto particolari". Lo ha detto Elisabetta Vernoni, mamma di Cecilia Sala, dopo l'incontro a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Adesso, assolutamente, le condizioni carcerarie di mia figlia". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi ai cronisti che le chiedono quali siano le sua maggiori preoccupazioni. "Lì non esistono le celle singole, esistono le celle di detenzione per i detenuti comuni e poi le celle di punizione, diciamo, e lei è in una di queste evidentemente: se uno dorme per terra, fa pensare che sia così...".