Il 7 luglio, Hugo Boss ha annunciato di passare al fur-free ossia niente pellicce già dalla prossima collezione autunno-inverno 2016. A congratularsi con il brand, per la decisione presa, tutti i membri della Fur Free Alliance, la coalizione internazionale di organizzazioni di protezione animale impegnate a contrastare lo sfruttamento e l’uccisione degli animali per la loro pelliccia, di cui la Lav è membro italiano. Hugo Boss entra a far parte, quindi, dei marchi e rivenditori fur-free, insieme a Tommy Hilfiger, Calvin Klein, Stella McCartney, Zara, Asos, Elisabetta Franchi, Geox e Miniconf.
Joh Vinding, Presidente della Fur Free Alliance, ha dichiarato: “Hugo Boss è diventato un punto di riferimento della moda, prendendo una netta posizione contro la crudeltà sugli animali per la produzione di pellicce. La Fur Free Alliance auspica che altri marchi del lusso seguano l’esempio di Hugo Boss. Soprattutto perché le alternative ai materiali animali sono una realtà e sono alla moda”.
Non sembrano aver recepito il messaggio, invece, il marchio romano Fendi, che per celebrare i 50 anni di collaborazione con lo stilista Karl Lagerfeld, il 9 luglio, dopo tre mesi di lavoro, ha presentato la collezione ‘Silver Moon’ al Theatre des Champs Elysees di Parigi, a chiusura delle sfilate di alta moda, serata che verrà riproposta anche a Tokyo e a Londra. Trentasei capi indossati dalle modelle più pagate, che non saranno venduti nei negozi ma destinati alle signore dell’alta società, con zero sensibilità e tanti soldi da buttare in nome della vanità (i costi partono da 250mila sino a 600mila euro). Linci, zibellini, visoni, ermellini, volpi bianche sono alcuni degli animali sacrificati per la Haute Couture dal duo Fendi-Lagerfeld!
Dopo aver letto questa notizia, seppur contraria alla politica dei piccoli passi e consapevole di ‘pubblicizzare’ un marchio che, allo stesso tempo, produce capi in pelle, sfruttando altri animali o profumi testati, ho pensato che vada almeno apprezzata la decisione di eliminare dalla filiera quegli animali usati per la produzione di pellicce.
Tuttavia, rimango dell’idea che siano da premiare con gli acquisti quei marchi che escludono completamente dalle loro collezioni, capi realizzati con materiali di origine animale, prodotti testati su animali destinati alle profumerie e che rispettano, inoltre, la dignità umana e il valore del lavoro, marchi tra i quali non figura Hugo Boss.
Hugo Boss, purtroppo, è anche tra le aziende incriminate per l’inaccettabile sfruttamento umano. Lo scorso marzo, la Clear Clothes Campaign ha accusato pesantemente il brand di violare i diritti dei lavoratori nelle fabbriche turche e croate; “molti lavoratori hanno paghe al di sotto della soglia di povertà. Molti di loro denunciano attività antisindacali, intimidazioni, inosservanza delle regole sugli straordinari e discriminazioni di genere” ha dichiarato l’organizzazione, la quale ha anche lanciato la petizione “per dire a Hugo Boss che un vero boss paga salari dignitosi”.
I miei non sono consigli per gli acquisti, sia chiaro, ma spunti di riflessione per un consumo critico.