Sa di ossessione quella di certo Pd nei confronti della generazione anni 70. Prima è toccato a Franco Piperno e Oreste Scalzone, per i quali s’è disturbato Renzi in persona, rei la partecipazione alla kermesse di Landini. Non senza qualche caduta di stile di Landini stesso che quasi a scusarsi s’è affannato a dire che lui, quei due, non li conosceva. L’esercizio del silenzio sarebbe stato più elegante.
Ora è il turno di Toni Negri. Dopo essere tranquillamente apparso sulla web tv spagnola nella trasmissione La Tuerka (Tele K canal 33 Madrid) intervistato da Pablo Iglesias, giovane leader di Podemos, ha provocato la scompostezza di Stefano Esposito, senatore dem, piemontese pro Tav, convertitosi dalla sinistra Pd al renzismo, celebre per aver suggerito il ricorso al super canguro da Italicum salva preferenze: bavaglio all’opposizione e annientamento di 40mila emendamenti. Galeotta la partecipazione alla 1a ed. del Festival internazionale dei beni comuni, appena conclusasi a Chieri (9/12 luglio): una kermesse con riflessioni di ospiti internazionali (da Vandana Shiva a Pistoletto, passando per la Calabria migliore di Salvatore Settis e Stefano Rodotà), performance tra parola recitata (Slurp! di Marco Travaglio) e cantata (Caetano Veloso & Gilberto Gil in concerto). Qui Negri ha partecipato ad un’affollata tavola rotonda sui beni comuni come alternativa alle politiche d’austerità (tra i tanti ad ascoltarlo anche Rodotà). E una riflessione su ciò che è “comune”, che “non è lo Stato che ce lo dà”, piuttosto “sarà la nostra partecipazione, la nostra capacità di costruire delle istituzioni”.
Risata squillante da seppellire la qualunque, 82 anni tra qualche giorno (splendidamente portati), Negri non da ora si occupa di comunanza. Per il senatore Esposito la presenza del “sig. Negri” (che è anche prof. ma si sa, in alcuni partiti i titoli rischiano di essere un optional) è uno “schiaffo”, un “insulto”. Non la pensa così il vicesindaco di Chieri che bolla le critiche di bigottismo.
Al di là delle beghe di provincia, il tema è un altro. Toni Negri, ancora erroneamente raffigurato come il Grande Vecchio degli anni di piombo, è arcinoto autore di Impero (mezzo milione di copie vendute, tradotto dall’arabo al cinese, per The New York Times l’opera più importante dell’ultimo decennio). Nel 2005 il francese Le nouvel observateur lo classifica tra i 25 uomini più saggi al mondo dedicandogli la copertina, titolo: Le nouveau Marx. Consulente di Chavez, autore di opere teatrali in scena al Festival d’Avignon (tra i più antichi appuntamenti delle arti sceniche al mondo), Negri ha scontato la sua pena. Lo stesso Cossiga nel 2001, in un’intervista al Corriere della sera, disse che il prezzo che aveva pagato era spropositato rispetto alle responsabilità.
Oggi Toni Negri vive in Francia e qualche puntata in Argentina dove insegna, a Santa Fe; per anni ha vissuto esule a Parigi grazie alla dottrina Mitterand sul diritto d’asilo: all’epoca sans papier, si faceva chiamare Antoine Guattari (i contratti d’affitto e telefonici li firmava Félix Guattari, pscicanalista prestato alla politica, padre insieme a Gilles Deleuze dell’Anti-Edipo). La sua pena l’ha espiata, il suo conto con la giustizia italiana è saldato, a partire dal carcere preventivo. Dal 2003, dopo 24 anni, ha di nuovo il passaporto e gira per il mondo come maître à penser.
Frattanto il Pd, che per Negri è diventato “reazionario”, incline a condannare “uomini che hanno fatto molti errori ma che si battevano e si battono per la libertà e l’uguaglianza”, è affetto da sindrome d’ossessione. Eppure non è soltanto una questione fobica. Non è solo l’avversione per il pensiero libertario. Sarà anche la paura per il calo di consenso? Per quella crescita, nel Paese, d’un sano spirito critico e civico? Sarà che destano timore i cambiamenti in corso in Europa, dalla Spagna alla Grecia, dove il popolo in un inedito meticciato destra/sinistra con una sola parola (oxi) si è ripreso la politica: la rivincita delle persone sul potere della finanza e del denaro.
Cattivi maestri che fanno ancora paura in tempi di buona (?) scuola. Vista da Parigi e dalla Calabria questa polemica sembra piccola piccola, d’un modo politico vecchio, irrisolto perché incapace di liberarsi dei demoni del passato, capace solo di coltivare risentimento. Fare i conti col passato, no? Servirebbe ad affrontare meglio il presente.