I tedeschi lo hanno ribattezzato Treuhandfonds. Letteralmente "istituzione della mano fedele". Dovrà gestire i 50 miliardi di beni pubblici di Atene, di fatto pignorati dai creditori in cambio di nuovo credito. Lo stesso nome venne dato al trust che gestì il passaggio del patrimonio dopo la caduta del Muro. Con conseguenze, ricordano i giornali tedeschi, non proprio positive per molte aziende, svendute all'Ovest o atomizzate per fare cassa
Corsi e ricorsi della storia. Uno dei punti più discussi nell’accordo tra l’Eurosummit e la Grecia è la creazione di un fondo a garanzia dei prestiti (e non solo) concessi nel nuovo pacchetto di aiuti. Un fatto dirompente. Per la prima volta nella storia dell’Ue un paese si vede costretto a cedere i propri beni pubblici sotto l’amministrazione controllata dalle istituzioni europee. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha spiegato in conferenza stampa che il fondo dovrebbe acquisire il patrimonio pubblico della Grecia per amministrarlo e procedere alle privatizzazioni. L’intero valore dovrebbe aggirarsi intorno ai 50 miliardi di euro, gran parte dei quali da utilizzare per la restituzione dei crediti erogati in virtù dell’Esm, il meccanismo di stabilità europea. Per metà, il nascituro fondo servirà a ridare liquidità alle banche greche. Altri 12,5 miliardi saranno impiegati a ridurre il debito del paese e il rimanente quarto, altri 12,5 miliardi, per investimenti diretti. E’ come se, per riassumere in una battuta, la Grecia fosse costretta a regalare, o quasi, il Partenone e il porto del Pireo per restituire annessi e connessi dei prestiti.
A dirla tutta, un precedente nella storia c’è e riguarda proprio i tedeschi. Sarà un caso, forse no, ma il nome con il quale prontamente il fondo è stato ribattezzato in Germania è Treuhandfonds. Con lo stesso termine, esattamente venticinque anni, fu creata oltre Reno un’istituzione che doveva gestire la transizione dei nuovi Länder dall’economia socialista della Ddr a quella di mercato. La Treuhand, letteralmente la “mano fedele”, venne approvata dall’ultimo governo della Germania dell’est, guidato da Hans Modrow. Alla nuova istituzione venne trasferita la gestione dell’intero patrimonio pubblico della Ddr con il compito di amministrarlo e di privatizzare, entro la fine del 1994, le oltre 8000 aziende statali dell’est. Treuhand, «il nome evoca ricordi non proprio positivi», scrive la Süddeutsche Zeitung sul proprio sito a commento dell’accordo. «In Germania la Treuhandanstalt [l’istituzione della mano fedele, ndr] ha privatizzato, o atomizzato, dopo l’89 il patrimonio della Ddr in circostanze spesso dubbie». Tecnicamente, quello stabilito nell’accordo tra il leader politici dell’Eurozona e la Grecia è un fondo di garanzia, eppure la stessa Angela Merkel in conferenza stampa non si è trattenuta dall’impiegare proprio questo termine in risposta alle domande dei giornalisti tedeschi.
Il riferimento storico è inequivocabile. Nei primi anni Novanta i settori produttivi dell’est ritenuti più appetibili vennero di fatto ceduti a prezzi stracciati e finirono per accaparrarseli le imprese tedesche dell’ovest. Molti stabilimenti funzionanti furono costretti alla fusione con le società che operavano in settori affini dall’altra parte del Muro, il rimanente invece smantellato – con tanto di licenziamenti e proteste a seguire, come ricordava di recente il settimanale Der Spiegel in occasione dei 25 anni, riferendosi alle vicende delle aziende minerarie di stato della Ddr, la Kaliwerk in Turingia, per esempio.
Per la Germania di Angela Merkel la modalità con la quale allora venne gestita su scala nazionale la riunificazione con l’est, potrebbe divenire un modello da applicare oggi nei rapporti con quelle periferie della zona euro ritenute inefficienti, clientelari, arretrate e scarsamente competitive. Il fondo di garanzia è il fiore all’occhiello che Merkel ha sfoggiato a conclusione dell’accordo sottoscritto da Tsipras. È il risultato che le consente, tra l’altro, di far digerire il terzo pacchetto di aiuti alla Grecia anche ai settori più intransigenti del proprio partito, tanto da escludere il ricorso al voto di fiducia quando il Bundestag sarà chiamato a ratificare i nuovi crediti. Il segnale inequivocabile, a detta di molti commentatori, che in queste trattative la Germania sarebbe riuscita a imporre la propria linea, anche e soprattutto a dispetto dell’alleato francese. Su chi sia il principale ispiratore c’è presso che unanimità nei giornali tedeschi. Se c’è un vincitore, nel bene o nel male, il suo nome è Wolfgang Schäuble. Il ministro delle finanze tedesco non ha mai perso occasione in tutta la vicenda per ribadire che non ci sarebbe stato alcuno strappo alle regole, né tantomeno un taglio del debito. Nessun aiuto sarebbe stato concesso ai greci, se non in cambio di contropartite e garanzie, questo è stato il messaggio lanciato in sintonia con gli umori di parte dell’elettorato tedesco.
Già, ma a quale prezzo, ci si chiede ora. Le vittorie, azzardava l’edizione online della Zeit, possono costare care. «Schäuble ha vinto, ma ha diviso l’Europa» ed è giunto a «un passo dalla rottura con la Francia». La Germania è in pace con la propria narrazione, la politica del rigore non è stata intaccata. Ma da oggi la immagine in Europa è fortemente compromessa. In questi giorni imperversa su Twitter l’hashtag ThisIsACoup con il quale utenti di vari paesi accusano la Germania di Merkel e Schäuble di aver deliberatamente umiliato la Grecia per motivi politici, ancor prima che economici. Un piccolo segnale di un crescente sentimento antitedesco.