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Grecia, cosa ci insegna la sconfitta di Tsipras

Sono già molti gli editoriali che oggi, più o meno prosaicamente, descrivono con giustezza la degenerazione dell’Europa. Dopo l’ultimo, fatale e folle attacco tedesco contro la Grecia, vi sono ormai prove inconfutabili – persino per i commentatori più cauti e conservatori – che evidenziano la superbia di una potenza neobismarkiana che, contro ogni logica economica, decide di umiliare e strangolare un Paese già in frantumi. Sarebbero potute andare altrimenti le cose? Il vero compito di oggi è, a mio avviso, quello di andare al di là del mantra consolatorio e singhiozzante che suggerisce impotenza e rinvia la lotta a giorni migliori.

La capacità di costruire giorni migliori ruota infatti attorno all’analisi. Per questo preferisco concentrarmi sulle lezioni strategiche che le forze che combattono l’austerità dovrebbero apprendere dalla sconfitta di Alexis Tsipras. Perché di sconfitta si tratta, e su questo bisogna essere piuttosto energici, a costo di sembrare anche crudeli nei confronti di chi aveva, con grosso merito, suscitato un’irradiazione così ampia di speranza. A spegnerla infatti sono i termini dell’accordo raggiunto a Bruxelles questo lunedì mattina: su questi sarà sufficiente dire che i primi ragguagli indicano che si tratta di un memorandum ancora più duro di quelli firmati dai predecessori dell’attuale premier greco.

Per renderci conto delle proporzioni dell’errore politico, è fondamentale tener conto di queste tre probabili conseguenze avverse: 1. La perpetuazione della recessione economica in Grecia e con essa l’incapacità di scrollarsi di dosso il giogo del debito. Così, è prevedibile che le condizioni di vita dei greci peggiorino ulteriormente in una spirale destinata a durare anni; 2. La crisi politica in Grecia, con la formazione di una nuova maggioranza di centro in Parlamento e l’esplosione di Syriza; 3. Come corollario del punto precedente, la diffusione della disillusione tra le forze politiche progressiste anti-austerità europee che vedranno considerevolmente ridotte le proprie possibilità di successo. Sconfitte di questo tipo spesso generano onde di frustrazione recuperabili solo dopo molto tempo. In questo senso, il fallimento di Syriza potrebbe influenzare negativamente le possibilità elettorali di Podemos.

In realtà, in molti avevano previsto l’esito della strategia di Tsipras negli ultimi mesi ed è di fronte a questa conferma empirica che è doveroso soffermarsi. Il premier greco pensava che arrivando al tavolo dei negoziati sospinto da un forte mandato popolare, i creditori avrebbero allentato la morsa, cedendo perlomeno ad alcune delle richieste greche, alleviando così l’austerità e procedendo ad una ristrutturazione del debito. Entrare seriamente in una contrattazione comporta presentarsi con una carta attraverso cui minacciare la controparte; in caso contrario, la contrattazione perde di senso. La Grecia invece si è limitata a condurre una negoziazione con le suppliche e le ragioni accademiche, per quanto tutte a suo favore. Tutta la questione ruota attorno all’Euro: all’interno del suo perimetro, sono stati i creditori a poter costantemente minacciare una crisi di liquidità e il blocco del finanziamento del governo di Atene.

L’inconciliabilità tra Euro e le riforme sociali è finalmente dimostrata. Perlopiù succube di un’ideologia europeista ormai superata dalla realtà dei fatti, Syriza non è stato in grado di pensare per temo all’unica valida alternativa, organizzarla e, di fronte alla follia tecnocratica, intraprenderla. La strada fuori dall’Euro, con la necessaria nazionalizzazione delle banche e il default di tutto il debito a fronte dell’irragionevolezza dei creditori, non sarebbe stata facile, ma avrebbe evitato la capitolazione a tutto campo di oggi. Abbandonare il feticcio europeista è l’unico modo per uscire dalla camicia di forza imposta da attori politici irresponsabili.

@mazzuele