Se ce n’era ancora bisogno, ormai la prova provata è sotto i nostri occhi: la pervicace volontà di punire oltre ogni misura la Grecia risponde al solo e unico obiettivo di fare fuori il suo attuale primo ministro e il partito di cui è espressione. Gli eurocrati dicono di non fidarsi di Alexis Tsipras, in quanto negoziatore imprevedibile, e poi vorrebbero riavere di fronte i suoi predecessori; quegli stessi che sono stati certificati rei di aver concorso a creare la voragine greca (in combutta con il sistema bancario internazionale; che per la quota europea si è sgravato del peso e delle responsabilità, girando il debito ai rispettivi Stati. Dunque zavorrando i rispettivi corpi sociali contribuenti). Perché tutto questo? Semplicemente perché l’uomo venuto da Atene non è un Quisling collaborazionista né tanto meno socio del country club che iscrive i privilegiati, da cui il nostro Matteo Renzi cerca disperatamente di essere cooptato. Magari come visitatore associato.
Stando così le cose non ha alcun senso discettare di riforme e quote contabili, il problema è genetico prima ancora che politico: la diversità antropologica di chi pensa un’Europa della democrazia, con i necessari annessi e connessi, rispetto agli oligarchi che attualmente decidono il nostro destino.
I mutanti che campeggiano nella scena continentale; cloni di un modello umano che si spende in politica come caporalato del consenso, al servizio dell’ordine vincente. Quell’ordine che si fonda sulla gerarchia del denaro e che pretende dal personale di partito il lavoro sporco del tenere a bada moltitudini sempre più taglieggiate; la cui indignazione deve essere depistata verso le operazioni – al tempo – distraenti e a somma negativa delle guerre tra poveri. Opera a cui ha dato un consistente contributo la mutazione di una Sinistra in viaggio sulla strada di Damasco della Terza Via. Quella Terza Via che Roberto Mangabeira Unger ha felicemente definito “la Prima Via con un po’ di zucchero”.
C’è poco da fare: la volontà di azzerare politicamente i rappresentanti ellenici, umiliandoli al punto di devastarne la credibilità a casa loro, è soltanto la vendetta degli insiders nei confronti degli outsiders. Quelli che hanno i piedi al caldo nel mondo felice del capitalismo finanziarizzato (e di quelli che anelano uno strapuntino sotto il tavolo dei ricchi e potenti per raccoglierne le briciole). Contro quanti sembrerebbero in procinto di disturbare il manovratore.
Difatti questa è l’aggregazione che domina a Strasburgo e Bruxelles: plutocrazie affaristiche che negoziano sottobanco vantaggi tutelati dai regolamenti (e non c’è solo il recentissimo caso dell’accordo Ttip, che aprirà i mercati europei ai cibi contraffatti Usa e le Mercedes a quello stelle-e-strisce), politicanti che concepiscono il loro ruolo come un ascensore sociale per carriere individuali e tecnoburocrati interessati a tradurre la propria capacità di influenza in vantaggi di status.
Come si diceva di Tony Blair, “gente a cui non piacciono le privatizzazioni, a cui piacciono i ricchi”.
Ma questo tirare la corda oltre ogni forma di decenza presenta margini di pericolosità che le Merkel e gli ultras di cui si circonda non sembrano avvertire. Ad esempio lo smascheramento del vero volto (antidemocratico e spudoratamente opportunistico) dei leader cui le sorti continentali sono affidate. A far buon peso, il rischio di idiozia geopolitica: come il calcio nei termitai mediorientali con le guerre a Saddam e a Gheddafi hanno trasformato l’altra sponda del Mediterraneo in una polveriera fuori controllo, allo steso modo chi ci dice che grazie a ai teutonici recuperatori di crediti (gonfiati dagli interessi) non ci si limiti a smantellare la costruzione europea? Non si corra pure il rischio di ritrovarsi Putin nel Pireo?
Per questo sembra evidente che solo mettendo fuori gioco quel country club di cui si diceva, che riprende tutti i vizi di ottusa segretezza ed esclusività dei tanti club che hanno accompagnato la colonizzazione NeoLib delle menti, si potrà tornare a un progetto europeo come frontiera di democrazia.
L’idea per cui i greci vilipesi hanno il fegato civile e umano di battersi.