L'ex ministro delle Finanze ricostruisce la notte dopo la vittoria dei no al referendum: "Volevo emettere "pagherò" denominati in euro, tagliare il valore dei bond greci acquistati dalla Bce e ridurre unilateralmente il debito", con l'obiettivo di ottenere condizioni migliori. "Ma il direttivo di Syriza ha votato contro e ha deciso invece di fare maggiori concessioni alla controparte". L'accordo? "Un nuovo trattato di Versailles che perseguiterà l’Europa"
Una settimana fa ha dato le dimissioni da ministro delle Finanze passando il testimone all’amico Euclides Tsakalotos. Sabato ha disertato “per motivi personali” la seduta in cui il Parlamento ellenico ha dato mandato al premier Alexis Tsipras per negoziare a Bruxelles il terzo piano di aiuti. Ora, a valle di un accordo che impone al Paese sacrifici molto più pesanti di quelli previsti dal piano bocciato dai cittadini ellenici, Yanis Varoufakis va all’attacco dell’ex sodale di cui è stato per anni il braccio destro. In un’intervista al settimanale britannico NewsStatesman, l’economista rivela che “aveva un piano” per far uscire il Paese dall’impasse dopo la vittoria del no al referendum del 5 luglio, ma le sue proposte non sono state appoggiate. Anzi, Tsipras malgrado il trionfo della posizione sostenuta dal suo esecutivo ha deciso di fare ulteriori concessioni e “ha accettato il fatto che qualsiasi fosse stata la posizione dei creditori, lui non li avrebbe sfidati“. E ha così finito per accettare “proposte assolutamente impossibili, totalmente non attuabili e tossiche, il tipo di proposte che presenti all’altra parte quando non vuoi un accordo”. L’intesa firmata domenica notte? “Un nuovo trattato di Versailles (quello imposto alla Germania alla fine della prima Guerra mondiale, ndr) che perseguiterà nuovamente l’Europa e il primo ministro lo sa. Sa che è dannato se lo fa, ma è anche dannato se non lo fa”.
Varoufakis racconta che da almeno un mese, prima ancora che il premier chiamasse i cittadini alle urne per esprimersi sulle richieste della troika, aveva “avvertito il governo che la Bce avrebbe chiuso i rubinetti della liquidità per costringere Atene a un accordo alle condizioni dei creditori”. Il suo piano consisteva nell’emettere, a quel punto, dei “pagherò” denominati in euro per far fronte al pagamento di stipendi e pensioni, tagliare il valore nominale dei bond greci acquistati dall’Eurotower nel 2012 e ridurre unilateralmente il debito. Mosse che non avrebbero costituito una Grexit, ma l’avrebbero minacciata. Alzando così la tensione sui mercati, con l’obiettivo di ottenere dai creditori condizioni più favorevoli. Un piano tanto più valido alla luce del mandato ricevuto dagli elettori. Invece, è la sua ricostruzione, a dispetto del 61,3% di no all’accordo, la sera di domenica 5 luglio il gabinetto ristretto di Syriza ha votato a maggioranza contro le sue proposte. Contrario anche Tsipras. “Il governo ha deciso che quel fragoroso no doveva portare a maggiori concessioni all’altra parte. E questo essenzialmente significa ripiegare… smettere di negoziare”, è il giudizio di Varoufakis.
Secondo l’ex ministro, il rapporto con il premier rimane “estremamente amichevole” nonostante dopo le dimissioni i due non si siano rivolti la parola per diversi giorni. Quel che è certo è che l’economista ha preferito una vacanza con la moglie sull’isola di Aegina al confronto parlamentare sul nuovo piano di Tsipras, che si è concluso con un via libera a larga maggioranza ma 32 no e otto astenuti, tra cui due ministri. Un risultato che ha indebolito il premier avvicinando il probabile cambio di governo in favore di un esecutivo di unità nazionale guidato dal numero uno di To Potami Stavros Theodorakis. E Varoufakis non manca di sottolineare il proprio sollievo per il fatto di “non dover più sostenere l’incredibile pressione di negoziare per una posizione che trovo difficile da difendere”.
Naturalmente ce n’è anche per i creditori, che dieci giorni fa Varoufakis ha accusato di “terrorismo” nella gestione delle trattative. L’Eurogruppo, secondo Varoufakis, è “totalmente soggiogato” dalla Germania, “è un’orchestra diretta dal ministro Schaeuble”. Per di più, sottolinea l’ex ministro, il coordinamento dei ministri delle Finanze in quanto istituzione “non è previsto da alcun trattato”, “non risponde a nessuno”, e “nessun cittadino sa che cosa vi accade”, ma nonostante questo “ha il grande potere di determinare la vita degli europei e di decidere su questioni quasi di vita o di morte senza che alcuno dei suoi membri debba risponderne a nessuno”.