Da quando il progetto Nomadi Digitali è stato lanciato online abbiamo incontrato, parlato e risposto alle email di molte, moltissime persone con idee valide e buone intuizioni, che tuttavia non sapevano e ancora non sanno come trasformarle in un business economicamente sostenibile e socialmente innovativo.
Non ne siamo subito capaci, perché non ce lo hanno insegnato: l’intero sistema educativo, dalla scuola dell’obbligo all’Università, così come la società e la famiglia, ci ha sempre incoraggiati a restare ‘sulla strada maestra’. Quella del percorso di formazione tradizionale, che port(av)a dritti dritti al posto di lavoro fisso, dipendente.
In nessuno dei percorsi formativi ci siamo misurati con il trasformare un’idea o un’intuizione in un vero progetto, realizzandoci su un vero business plan, con tutti i conseguenti sviluppi, dal budget alla gestione, e adesso che dobbiamo ‘inventarcelo’ un lavoro non sappiamo da che parte cominciare per dare concretezza alle nostre idee.
Studia, impegnati, consegui la laurea con voti eccellenti e vedrai che un lavoro lo trovi, questa in sintesi era la formula. Può forse ancora valere per una sempre più esigua minoranza, ma è oggi un approccio non solo anacronistico, ma perfino dannoso perché non ci permette di essere connessi con la realtà di una società e di un mondo del lavoro in profonda e continua trasformazione.
Eppure sembra che in Italia la parola d’ordine sia ‘stagnazione’. Qualcuno potrebbe dirci che sosteniamo che il mondo del lavoro sia in evoluzione, che si stanno aprendo nuove possibilità, che sia possibile crearselo un lavoro, perfino in base alle proprie passioni, abilità e potenzialità, ma la realtà è che in questo Paese sembra tutto fermo al palo e la disoccupazione giovanile è sempre più diffusa.
All’apparenza è esattamente così, ma solo perché continuiamo a osservare la realtà con ‘occhi vecchi’. In Italia manca la cultura del lavoro freelance, dell’impresa, della responsabilità individuale del mettersi in gioco, fallimenti e ripartenze compresi. Manca la cultura dell’inventarsi e crearsi una professionalità sulla base delle proprie capacità e competenze, proprio quello che oggi è maggiormente richiesto.
Sembrano spariti i posti di lavoro dove potevano essere spese, per uno stesso datore di lavoro o committente, competenze routinarie, abituali, ricorrenti. Oggi chi offre lavoro è in cerca di professionisti con competenze specifiche e di grande qualità, in grado di soddisfare esigenze temporanee o di nicchia o relative solo a determinati progetti.
Non solo, l’attenzione si sta spostando sempre più verso la rete di relazioni in cui il professionista è inserito: quello che finalmente si riesce a intravedere anche in Italia è che la circolazione e la condivisione delle idee e delle competenze creative sono le uniche chiavi per la competitività e l’innovazione.
E non è un caso che si stanno moltiplicando anche gli spazi di co-working italiani, che consentono la condivisione di un ambiente di lavoro, mantenendo un’attività indipendente, ma che non sono ancora utilizzati a pieno delle loro potenzialità come ‘incubatori di innovazione’ o spazi abitualmente frequentati da nomadi digitali, come accade in altri Paesi europei e in Asia, dove sono vissuti come veri e propri spazi di aggregazione e di incontro tra diversi professionisti, che condividono valori comuni e sono in cerca di ‘buona compagnia’, di qualcuno con cui fare rete per essere ancora più competitivi.
Il co-working dovrebbe essere vissuto non tanto come semplice ufficio temporaneo ma piuttosto come spazio dove spingere al massimo comunicazione, condivisione e collaborazione, evitando così il rischio di isolamento che spesso accompagna il lavoro freelance, con la conseguente perdita di slancio e di motivazione.
Nei co-working non si dovrebbero condividere solo spazi, strumenti e servizi ma anche idee, opportunità e progetti, che dall’incontro di differenti esperienze e professionalità possono evolvere e svilupparsi.
Sappiamo davvero fare rete? Certo, è un bel cambio di mentalità, se pensiamo che ci hanno insegnato a tenerci strette le idee se no qualcuno potrebbe rubarcele.
Buone notizie però, si può imparare! Nei workation camp (termine inglese che nasce dalla fusione di work e vacation) che stanno nascendo in giro per il mondo, in luoghi meravigliosi raggiungibili con biglietti low cost, dove allo spazio di co-working si affiancano attività sportive, formative e ludiche, si trascorre una o più settimane e s’impara insieme a startupper, professionisti, nomadi digitali e creativi a fare rete e a lavorare in team su un obiettivo o progetto comune.
Ne sono un esempio il Sun Office, il Tarifa Workation Camp, aperto fino a novembre 2015, a una distanza ragionevole (Andalusia, Spagna), raggiungibile con voli lowcost e con soggiorni a prezzi competitivi, e il Coworking in the Sun a Tenerife (Isole Canarie), dove ci sono spazi di co-living low-cost e corsi settimanali di marketing online.
E forse per l’estate in corso, l’unica partenza intelligente potrebbe essere proprio questa.
di Marta Coccoluto