“Vorrei una casa dove poter girare, un ambiente più pulito, un posto dove potermi muovere, dove non ci sono tutte queste droghe… Qui c’è troppa umidità, io lo risento”. Quanta verità, quanta sofferenza e quanti desideri in queste parole.
Sono state queste le semplici richieste di Ivan, il giovane guerriero di Scampia, noto non solo a Napoli tra i cittadini e tra le istituzioni per le sue condizioni di vita più che complicate. E sono state sempre queste le semplici richieste di un ventunenne tetraplegico – Ivan è morto pochi giorni fa, il 5 luglio 2015, ai suoi 21 anni – condannato all’immobilità a seguito di una caduta che risale all’età dei suoi dodici.
Se ne è andato durante il ricovero al Cardarelli di Napoli, all’alba di una domenica in cui la famiglia era convinta di poterlo riabbracciare ancora.
Ricoverato per una febbre un mese fa circa, come spesso accadeva a Ivan, all’improvviso un’infezione l’ha ucciso nel giro di una notte. Apparentemente sarebbe morto per una setticemia ma i genitori hanno già denunciato l’ospedale: “Perché con un’accurata assistenza – mi ha raccontato Anna, la mamma di Ivan – il suo decesso si sarebbe potuto evitare”.
Dalla denuncia è partito il sequestro delle cartelle cliniche dell’ultimo ricovero, del quale Anna racconta di periodi lunghi in cui il figlio sembrerebbe essere stato “parcheggiato” in una barella, nonostante l’aumento delle piaghe da decubito. Sulla salma di Ivan oggi si è ancora in attesa dei risultati autoptici.
Perché la lotta per Ivan continua? Quando era in vita ha subito diversi interventi al cuore. Godeva della funzionalità di un solo polmone, viveva con un bypass al cuore, un catetere permanente, placche di acciaio nelle ossa. Le piaghe da decubito erano la sua battaglia quotidiana.
Entrare nelle Vele di Scampia – per me una grande occasione di conoscenza offertami da Vittorio Passeggio, del Comitato delle Vele di Scampia, che oggi oltre all’assegnazione di un alloggio alla famiglia Grimaldi, ha chiesto che i funerali di Ivan siano pubblici e a spese dell’Amministrazione – è qualcosa di particolare, che può capire solo chi ha la possibilità di visitarle e sconvolgersi del suo stesso degrado, delle condizioni di fatiscenza in cui delle famiglie sono ancora costrette a vivere.
Quando Ivan raccontava: “Vorrei un ambiente più pulito, un posto dove potermi muovere”, mi ricorda tuttora il giorno in cui sono andata a conoscerlo rimanendo agghiacciata da questo alloggio in cui viveva con la mamma: pochi metri quadri dove la sua carrozzella – all’epoca per problemi di dimensioni – non poteva accedere a tutte le stanze, benché siano poche e piccole. La sua storia poi l’ho raccontata qui. Ho organizzato una raccolta fondi per aiutare la famiglia di Ivan.
Sono rimasta persino commossa, e nel profondo, nell’aver chiacchierato con un ragazzo, all’epoca di diciassette anni che a me e la fotografa che mi accompagnava, Cristina Martone, faceva battute simpatiche, ci parlava con una ironia e leggerezza stupefacente, mentre condivideva con noi il desiderio di una vita in una casa dove avrebbe potuto vivere più dignitosamente, muoversi, vedere persone, amici. Ivan sperava e desiderava, in fondo, solo in una vita più umana e dignitosa.
Mentre eravamo lì ci mostrava come riusciva a comunicare col “mondo”, tramite un sondino attaccato a un cerchietto intorno alla testa con cui poteva chattare, stare su Facebook, fidanzarsi persino, perché poi ogni tanto Ivan mi raccontava delle sue fidanzate, via chat, della sua salute.
Si raccontava come avrebbe fatto un adolescente, solo che la sua vita presentava dei limiti che non poteva vincere da solo, che le istituzioni avrebbero invece potuto e dovuto permettere di superare in modo rispettabile, tempestivo, consegnando alla famiglia un alloggio più adatto alle sue condizioni.
Insomma, Ivan immobilizzato a causa di una caduta, avrebbe potuto persino sviluppare una personalità decisamente più debole, meno briosa. Avrebbe potuto sorridere di meno e lamentarsi di più, invece col suo sondino e il suo pc è riuscito a farsi una vita, a farsi voler bene, a conoscere artisti e calciatori che amava e che negli anni lo hanno sostenuto. Ha saputo lottare ogni giorno con carattere e dignità. Imitabili, aggiungerei.
Nel 2011 durante la campagna elettorale il sindaco Luigi De Magistris andò a trovare Ivan assicurando l’organizzazione di una cena sociale per raccogliere fondi. Ieri, per dare una dimensione del tempo e di quanto non sia poi cambiato nulla negli anni in un’intervista De Magistris ha dichiarato: “A settembre la famiglia di Ivan avrà un alloggio”. Ha poi aggiunto: “No a sciacallaggi su Ivan, il Comune darà alloggi ai disabili di Scampia”.
Sono dunque passati quattro anni pieni. Significativi. Aggiungerei, con il dovuto rispetto, che è passata persino la vita di Ivan da quella promessa del 2011 e non credo ci sia uno sciacallaggio peggiore, in situazioni come queste di un’assenza e di promesse mancate da parte delle istituzioni, del consegnare, a settembre – chi lo sa poi se sarà vero – un alloggio a una famiglia che ha perso un figlio che da disabile per quella casa lottava con una forza e un impegno non da tutti. C’è della vergogna in tutto questo, un assenza di pudore. Di civiltà.
Eppure quella casa alla famiglia spetta ancora oggi.
Ricordo che quando nel 2011 uscimmo dall’alloggio di Ivan con la fotografa parlammo a lungo di quell’incontro, di quanto ci avesse colpito tutto: Ivan, la sua storia, la sua mamma, la sua casa fatiscente, il suo sogno di un alloggio più dignitoso, il suo raccontarsi. Decidemmo di non pubblicare le sue foto, c’era qualcosa di così umano in quel pomeriggio che non ci era parso opportuno pubblicarle. Decidemmo invece di fare quella raccolta di soldi per aiutarlo.
Poi la storia di Ivan persino davanti alle speranze e ai desideri condivisi ci ha consegnati un epilogo triste, inaspettato. Un rispetto assoluto per la resistenza che ha mostrato Ivan, come la sua famiglia, negli anni. La resistenza di chi no abbassa la testa neanche davanti alle mancanze delle istituzioni.