Il docufilm girato dai registi classe 1984 Alberto Gemmi e Mirco Marmiroli racconta il volto dismesso di un ex gioiello dell’industria italiana ora al centro delle politiche di riqualificazione di Reggio Emilia. Su internet il crowdfunding per completare l'opera
Tra mezzi ferroviari, armamenti e aerei da caccia hanno rifornito due Guerre Mondiali, sopravvivendo a un eccidio, alla crisi economica degli anni 30’ e poi alla ricostruzione. Dal 2008, però i macchinari sono spenti e i capannoni, che un tempo davano lavoro a 10.000 operai, giacciono in silenzio in attesa di riqualificazione. E’ un docufilm che racconta il volto dismesso di un ex gioiello dell’industria italiana, le Officine Meccaniche Reggiane, quello girato dai registi classe 1984 Alberto Gemmi e Mirco Marmiroli, intitolato “Ogni opera di confessione”. Un viaggio a metà tra un reportage, un’inchiesta e un lungometraggio, che per immagini e testimonianze ripercorre il presente di un ex polo produttivo simbolo dell’Italia passata, che da anni ormai aspetta di essere ricostruito.
“Si tratta di un film di ricerca – racconta Gemmi, laureato in cinema all’Università di Bologna, prima di partire alla volta di Parigi per un master in Filmmaking – che si pone l’obiettivo di esplorare le relazioni in atto tra gli individui, le forme del paesaggio e i suoni all’interno di un contesto specifico, quello delle ex Officine Meccaniche Reggiane, i cui spazi sono stati centro nevralgico per la produzione e lo sviluppo del trasporto nazionale e per la flotta aerea dell’esercito italiano. E che, dopo anni di abbandono, sono tornati al centro delle politiche territoriali della città di Reggio Emilia, inserendosi all’interno di un articolato piano di riconversione urbana”.
Il film ha ricevuto il sostegno dell’Arci, ed è stato realizzato con un finanziamento dell’Emilia Romagna Film Commission. Per completare l’opera, tuttavia, servono altri 5.000 euro, così i due registi si sono rivolti al web e hanno lanciato una campagna di crowdfunding che si concluderà il 2 agosto.
“Il nostro lavoro – racconta Marmiroli, laureato in cinema all’Università di Bologna e autore di diversi documentari girati tra la Russia e Haiti – è iniziato con l’osservazione silenziosa di un’area ricca di spiritualità situata alle spalle della stazione centrale della città, e che oggi accoglie diverse strutture fra cui il nuovo Tecnopolo, la moschea, la chiesa pentecostale e Piazzale Europa, epicentro delle ultime trasformazioni urbane e sociali”.
Narratori d’eccezione, nel lungo viaggio che è la storia delle Officine, un’area di 260.000 metri quadrati nota soprattutto per la produzione bellica e ferroviaria, ma che in cent’anni di attività costruì anche macchine agricole, alimentari, e gru tra le più grandi al mondo, sono Claudio ed Emore, che quei capannoni e quegli uffici abbandonati li conoscono bene. “Claudio e la sua famiglia vivevano in piazzale Europa, e per sopravvivere raccoglievano il ferro dentro le ex Officine – racconta Marmiroli – sul loro camper campeggiava un adesivo con la scritta ‘Reggiane'”. I registi l’hanno conosciuto nel corso delle loro ricerche su sull’azienda fondata nell’agosto del 1901 dall’ingegner Romano Righi, e l’hanno scelto a testimonianza di cosa sono oggi le Officine. Se il Comune di Reggio Emilia, infatti, nel 2013 ha inaugurato, nell’ex capannone 19, il nuovo Tecnopolo, 5,5 milioni di euro di investimento, larga parte dell’area è ancora fatta di scheletri di edifici in rovina.
“Poi c’è Emore Medici, che invece alle ex Officine ci lavorava”. Ex operaio di 87 anni, fu lui a realizzare il modellino del celebre caccia Re2001, prodotto alle Reggiane negli anni Quaranta. “Emore e Claudio sono narratori, dalle loro ‘confessioni’ viene il titolo del documentario, e tuttavia, in realtà non c’è, nel film, un vero e proprio momento di racconto – spiega Marmiroli – sono i gesti e le storie di chi è collegato a quei capannoni, i suoni registrati di un ambiente abbandonato, a rivelare cosa sono diventati oggi quei luoghi. Il nostro lavoro, del resto, non è sociale, né politico, né storico: è una fotografia attuale di un sito in bilico tra passato e presente, che vuole restituire allo spettatore ciò che noi abbiamo osservato, senza interferenze né giudizi”.
Un lavoro di osservazione che i due registi hanno condotto per mesi, in mente soprattutto un obiettivo: “Suscitare una riflessione su ciò che in Italia è abbandonato. Le ex Officine sono un soggetto che merita di essere raccontato non solo per il ruolo che quei capannoni hanno giocato nel corso di quest’ultimo secolo, dal 1904 a oggi, ma anche perché di siti simili in Italia ce ne sono molti: luoghi lasciati al degrado, prigionieri in un limbo che alle spalle ha un passato glorioso, ma davanti a sé un futuro incerto”.