La settimana scorsa avevo scritto un post sulla tragica crisi economica della Grecia che voleva esprimere un ragionamento banale, ma a mio parere sottovalutato: il fatto che ogni paese avanzato vive al di sopra delle proprie possibilità, o rischia di trovarsi a breve in questa condizione, per la costante crescita dei costi dei diritti dei cittadini, vissuti, a torto o a ragione, come principi etici irrinunciabili. Voglio approfondire questo punto con una breve ricerca applicata al caso italiano. Poiché ho preso i dati da varie fonti, non tutte compatibili tra loro questo post ha alcuni limiti; però penso che nelle sue linee essenziali l’informazione riportata sia corretta.
La spesa pubblica del Paese nel periodo 2010-2013, il più recente per il quale esistano indagini complete, ammontava a circa la metà del Pil e le sue voci principali grossolanamente erano le seguenti: interessi sul debito pubblico 9%; previdenza e assistenza (pensioni, pensioni sociali, etc.) 30%; spese in conto capitale 7%; sanità 13%; istruzione pubblica 10%; altre spese correnti (giustizia, ordine pubblico, difesa, territorio, etc.) 17%. I dati riportati mi sembrano più o meno coerenti con quelli ufficiali della Ragioneria Generale dello Stato, disponibili però per un periodo precedente. Le voci di spesa, come si vede, sono relative a diritti che noi consideriamo eticamente fondamentali e irrinunciabili: chi vorrebbe rinunciare alla pensione o alla scuola pubblica o al Servizio Sanitario Nazionale?
La composizione della spesa pubblica italiana è più o meno allineata con quella dei nostri vicini europei, come si vede dalla tabella 1.2 del ‘Libro verde’ della Ragioneria Generale dello Stato, eccetto che per alcune voci (ad es. le pensioni ci costano il 14% del Pil contro una media dell’11,5% in area Euro); e poiché in molti confronti (ad es. con Francia, Germania, Olanda, etc.) il nostro Pil pro capite è inferiore, anche le spese, in termini assoluti sono inferiori.
Ci si potrebbe chiedere se per caso ci siano altri tipi di anomalie nella spesa pubblica italiana, rispetto agli altri paesi di area Euro: ad esempio se in Italia i dipendenti pubblici siano più numerosi (e peggio pagati, visto che la quota di spesa per stipendi è simile o inferiore, se misurata in percentuale di Pil). L’Annuario statistico della Ragioneria generale dello Stato riporta circa tre milioni e cinquantamila dipendenti pubblici nel 2012, con un calo di oltre centomila unità dal 2004; questo numero corrisponde ad una percentuale sul totale degli occupati (15%) che è significativamente inferiore a quelle di Francia e Inghilterra (circa 20%; dati). Una ovvia anomalia della spesa pubblica italiana è data dall’elevato tasso di corruzione del Paese; ma questa anomalia non può essere corretta con interventi finanziari (tagli di spesa): deve essere corretta dall’azione incisiva della Magistratura.
Se l’enorme debito pubblico italiano è spia del fatto che noi viviamo al di sopra delle nostre possibilità, anche ammettendo l’influenza di alcuni difetti strutturali del paese quali la corruzione, un’analisi banale della composizione della spesa pubblica rivela che l’Italia non presenta ovvie anomalie rispetto ai Paesi circostanti: noi spendiamo ciò che è necessario per garantire alcuni diritti fondamentali dei cittadini. In pratica è la nostra sopravvivenza (o i nostri diritti fondamentali) ad essere al di sopra delle nostre possibilità: un bel problema!