Il 10 dicembre 2011 l'insediamento della Continassa, con 80 famiglie, era stato dato alle fiamme dopo la denuncia di una 16enne, che poi ritrattò tutto. Sei anni e sei mesi a un 24enne del quartiere, coinvolti due esponenti dei "Bravi ragazzi" bianconeri. Risarcimenti per le vittime e per tre associazioni
Erano “bravi ragazzi” spinti dall’odio verso i rom gli uomini che la sera di sabato 10 dicembre 2011 hanno assalito e incendiato un campo rom alla Continassa, zona di Torino vicino allo Juventus Stadium. Lo ritiene il giudice Paola Trovati che stamattina ha condannato sei persone – alcuni di loro legati ai “Bravi ragazzi”, gruppo ultras juventino – a pene tra i tre anni e i sei anni e mezzo per incendio aggravato dal razzismo. L’incendio era stato scatenato per “vendicare” lo stupro di una ragazzina da parte di alcuni nomadi, uno stupro che però era stato inventato dalla giovane e dal fratello per “giustificare” ai genitori un rapporto sessuale avuto dalla minorenne con un ragazzo. Un episodio che, per certi versi, ricorda l’assalto al campo rom di Ponticelli, a Napoli, avvenuto nel maggio 2008 dopo la denuncia calunniosa contro una giovane nomade accusata di aver rapito un neonato.
“Ripuliamo la Continassa”, questo era lo slogan su un volantino che circolava nel quartiere Le Vallette in occasione della protesta organizzata dalla famiglia (tra i parenti c’è un esponente della tifoseria bianconera), da alcuni ultras e dagli abitanti della zona dopo lo stupro denunciato dalla sedicenne alcuni giorni prima. Così la sera del 10 dicembre 2011 quasi cinquecento persone marciò verso l’area con l’intenzione di protestare. Nonostante la presenza di forze dell’ordine, giornalisti e politici, come la deputata Paola Bragantini del Pd, allora presidente della Circoscrizione 5 del Comune di Torino, una frangia prese il sopravvento. Intorno alle 20 alcuni uomini appiccarono il fuoco bruciando roulotte, baracche e i resti di una cascina. Le famiglie rom, per un totale di circa ottanta persone,scapparono mentre altri manifestanti bloccarono le vie d’accesso per impedire l’arrivo dei vigili del fuoco. In quegli stessi istanti, intanto, la ragazza confessava ai carabinieri di aver inventato tutto e solo l’arrivo di questa notizia bloccò gli assalitori.
Due di loro furono subito fermati. Si trattava di due abitanti del quartiere: Luca Oliva, 24enne a cui è stata inflitta una pena di sei anni e sei mesi, e Guido Di Vito, 60enne condannato a sei anni e dieci giorni di carcere, pene più dure di quelle richieste dal sostituto procuratore Laura Longo che ha coordinato un’inchiesta complessa per l’omertà dei partecipanti alla manifestazione. Soltanto mesi dopo il fermo è stato possibile risalire ad altri responsabili. C’erano Raffaele Giordano, condannato a quattro anni e mezzo di carcere, mentre tre anni sono stati inflitti a Giuseppe Fico (componente dei “Bravi ragazzi” arrestato nel maggio 2014 per i disordini provocati dai “Forconi” a Torino il 9 dicembre 2013) e Rocco Facchino. Tre anni di reclusione anche a un personaggio già noto alle cronache, Davide Moscatiello, 37 anni, ex leader dei “Bravi ragazzi” che a novembre è stato arrestato per un’altra vicenda: sarebbe implicato in traffici di droga tra l’Albania e la Sicilia, traffici gestiti, secondo l’accusa, insieme ad Andrea Puntorno, altro capo ultras bianconero. Moscatiello a inizio giugno, durante il suo esame in aula, aveva affermato che i tifosi della Juventus non avevano avuto nessun ruolo nell’organizzazione: “Le prime linee erano formate da gente normale, c’erano i compagni di scuola della ragazza, anziani e famiglie. I gruppi dello stadio non c’entravano nulla. Nessuno li organizzava”. Nessuno li organizzava, ma molti di loro erano presenti attivamente.
Cinque dei rom presenti al momento dell’assalto si sono costituiti parte civile nel processo grazie all’avvocato Gianluca Vitale e hanno ottenuto un risarcimento di circa quindicimila euro. Tre organizzazioni (l’associazione Idea Rom, l’Associazione di studi giuridici sull’immigrazione e l’European Roma Right Center) hanno ottenuto un risarcimento di tremila euro.