Il Csm ha deciso di accogliere la richiesta di ulteriore aspettativa di Michele Emiliano in vista della piena assunzione dell’incarico di presidente della regione Puglia. Da qualche giorno infatti la pratica era arrivata al Consiglio superiore della magistratura che, non senza qualche riflessione, gli ha riconosciuto il proseguimento “senza soluzione di continuità” dal 2004. Dopo la fine del suo doppio mandato da sindaco di Bari per il quale aveva dovuto richiedere due successive aspettative (per motivi familiari a marzo 2004 per poter competere da sindaco di Bari e poi a luglio per assumere il ruolo, l’altra a marzo 2011), pur dovendo tornare a fare il magistrato, Emiliano aveva invece deciso di accettare di svolgere l’incarico di assessore alla legalità e alla polizia municipale nel comune di San Severo di Foggia. Incarico da cui si è dimesso una volta diventato presidente della Regione Puglia. Una scelta aspramente criticata a livello politico ma che ha destato più di una perplessità anche all’interno della magistratura specie dopo l’assunzione di incarichi di primo piano nel Pd regionale culminati a febbraio 2014 con la sua consacrazione alla segreteria del partito pugliese.
A muovere contro Emiliano era stato innanzitutto Raffaele Fitto. Ma poi era seguito anche il fuoco amico di Massimo D’Alema che lo aveva accusato apertamente di non avere rispettato la legge che impone ai magistrati, anche quelli in aspettativa, di non avere incarichi di partito. Una polemica che l’allora sindaco di Bari aveva per la verità archiviato agevolmente come il tentativo scomposto della vecchia classe dirigente di ribaltare l’esito delle primarie che l’aveva spazzata via.
Ma l’affare Emiliano, come detto, ha investito anche i vertici della magistratura. Tanto è vero che alla fine dello scorso anno in piena campagna elettorale, il procuratore generale della corte di Cassazione (che insieme al ministro della Giustizia è titolare dell’azione disciplinare), ha deciso di avviare contro di lui un’azione che non ha comunque indotto Emiliano né a dimettersi dalla magistratura da cui è in aspettativa da 11 anni complessivamente, né ad abbandonare la corsa per le elezioni regionali che lo hanno poi consacrato neo governatore.
Nonostante la conferma dell’aspettativa da parte del Csm, sebbene con un titolo mutato (da amministratore comunale a presidente della regione), l’imbarazzo a Palazzo dei Marescialli è malcelato per due ordini di ragioni: nella delibera infatti viene ribadito il contenuto di una risoluzione del 2010 che auspica un intervento del legislatore per regolamentare il percorso di partecipazione dei magistrati all’esercizio di uffici politico-amministrativi come peraltro avviene già per i parlamentari. In mancanza di una norma specifica e di rilievo primario infatti vale infatti l’articolo 51 della Costituzione che riconosce l’accesso a tutti i cittadini non solo alle cariche elettive ma anche agli altri uffici pubblici, compresi gli incarichi di assessori esterni. Poi c’è un’altra questione e cioè quella dell’azione disciplinare aperta dal pg della Cassazione di cui finora si sono perse le tracce ma che è destinata a riaccendere le polemiche sulla compatibilità dello status di magistrato e la partecipazione all’attività politica, una volta che approderà al Csm.
di Emma Rosati