Qualche giorno fa su questo blog ho pubblicato un pezzo su Lucio Lombardo Radice, il curatore dell’Enciclopedia Ulisse.
Oggi trovo un articolo di Goffredo Fofi del 2012 in cui ricorda Radice con gratitudine e affetto. Racconta di quando lo conobbe, neanche diciannovenne, e di come fu accolto nella sua casa a Roma, fornendogli un alloggio, la compagnia di tutta la sua famiglia e un mensile di dieci mila lire. Conosco Goffredo e so che è una persona genuina oltreché – per quanto mi riguarda – Principe d’Italia. Tutte le volte che ci vediamo mi riempie di schiaffi (ma forti, eh) per due ragioni: la prima è che – lui dice – gli piace la mia faccia, la seconda è perché non vado a trovarlo a Roma.
Quasi dieci anni fa Goffredo mi regalò una bellissima introduzione a un’antologia di fumetti che curai con Vittorino Curci, Michele Casella e Pasquale La Forgia intitolata ‘Gli Intrusi’ (Coconino Press). Un volume che raccoglieva le fatiche di Andrea Bruno, Francesco Cattani, Francesco Chiacchio, Marco Corona, Manuele Fior, Pasquale La Forgia, Giacomo Nanni, Alessandro Tota, Amanda Vähämäki e mie.
Io ricambiai con una serie di disegni per la sua rivista Lo Straniero. Le ripubblico in fondo al post.
È stata una bella sorpresa scoprire che due figure per me così importanti siano state un tempo così vicine: Lucio Lombardo Radice che con la sua Enciclopedia Ulisse aveva destato la mia curiosità di bambino per la grafica e la pittura pubblicando artisti come Ben Shahn, Deineka, Guttuso… e Goffredo Fofi che mi ha dato la fortuna di conoscere e di poter subire i suoi amorevoli ceffoni.
Questo è uno stralcio dell’articolo di cui parlavo. Così Fofi ricorda il suo amico Lucio:
“Lucio non era certamente un intellettuale qualsiasi, e io lo consideravo estraneo alle logiche del suo partito, troppo radicale e troppo borghese, mi sembrava, per essere un vero togliattiano e tanto meno uno stalinista (le sue posizioni sulla scienza erano tutt’altro da quelle sovietiche, e questo riuscivo a capirlo anch’io). Confesso che a lui prediligevo Adele Maria, e il padre di lei, Arturo Carlo Jemolo, un personaggio affascinante e coraggioso, uno dei pensatori più liberi e più aperti che ho avuto modo di conoscere. Insomma, Lucio non mi pareva un comunista, se lo confrontavo con i comunisti che mi capitava di conoscere: un partito che aveva militanti di base meravigliosi, dai quali ho imparato moltissimo, ma di cui mi sembrava che i dirigenti fossero infidi e distanti, compresi quelli che fecero il ‘manifesto’. Lucio mi ispirava piena fiducia, sapeva ascoltare, era un uomo di dialogo le cui certezze non diventavano mai una corazza. Ne ho conosciuti pochi di comunisti e di intellettuali come lui. Oggi ce ne sarebbe un enorme bisogno, ma tra i noti ci sono in giro quasi soltanto fantocci e parodie.”