“Siamo di fronte a una scelta. Se non scegliamo in modo saggio, le future generazioni ci giudicheranno con severità, perché ci siamo lasciati sfuggire il momento”. In un discorso dalla East Room della Casa Bianca, Barack Obama ha presentato agli americani l’accordo firmato a Vienna sul nucleare iraniano. Il presidente ha avuto toni gravi, quasi ultimativi. Se non troviamo una soluzione, se non arriviamo a un accordo con Teheran, ha spiegato, il Medio Oriente rischia di esplodere. Non sarà qualcosa di lontano, senza conseguenze sulla vita degli americani. “Il rischio è accelerare la corsa al nucleare in quella regione, ciò che minaccerebbe la sicurezza degli Stati Uniti”, ha spiegato.

Si è spesso detto, in queste ore, che l’intesa con Teheran rappresenta forse il più importante lascito degli otto anni di presidenza di Obama. Un lascito cercato in modo metodico, prima con le aperture di Obama agli iraniani, all’inizio del suo primo mandato, poi con la scelta delle sanzioni, quindi con un’estenuante trattativa diplomatica che è stata perseguita ostinatamente, nonostante le chiusure dei conservatori iraniani e l’opposizione dei principali alleati degli Stati Uniti nell’area – Israele e Arabia Saudita soprattutto. Alla fine, l’accordo blocca quanto meno temporaneamente il programma nucleare iraniano, e rimanda al futuro la creazione di una rete di relazioni più stabili, e produttive, con Teheran.

Proprio su questo aspetto si è concentrato Obama nel suo discorso. Agli americani, non ha proposto la visione di un differente ordine mondiale; non ha prefigurato un’evoluzione dell’Iran in senso democratico. Il modo in cui Obama ha cercato di “vendere” alla sua opinione pubblica l’accordo è stato del tutto pragmatico, scevro di grandi voli ideali. “L’intesa risolve un problema particolare – ha detto il presidente – cioè il rischio che l’Iran sviluppi armi nucleari”. Obama ha aggiunto di sperare che la firma di Vienna “porti a una conversazione, porti l’Iran a comportarsi in modo diverso nella regione, a essere meno aggressivo, meno ostile, più cooperativo”. Ma questo, appunto, è un corollario possibile e futuro a qualcosa che invece è stato pensato per l’immediato, per risparmiare ulteriori problemi – probabilmente anche conflitti devastanti – in un’area già segnata da profonda instabilità.

Obama non ha avuto timori a confrontare anche le critiche che sono arrivate da Gerusalemme all’accordo con Teheran. Un errore storico, “dalle dimensioni devastanti”, l’ha definito Benjamin Netanyahu, che ha passato gli ultimi anni della sua carriera politica a denunciare la possibilità di un’intesa con Teheran. Quelle israeliane sono “preoccupazioni legittime”, ha detto il presidente USA, perché l’Iran ha sinora mostrato una forte propensione ad appoggiare il terrorismo e disturbare la vita dei vicini. “L’Iran è un grande Paese, con un esercito significativo, che ha proclamato che Israele non esiste, che ha negato l’Olocausto, che ha finanziato Hezbollah”, ha spiegato Obama, riconoscendo dunque la ragionevolezza delle preoccupazioni israeliane. Ma, anche qui, il presidente americano ha preferito esibire una certa dose di realismo pragmatico. “Nessuno – ha detto – ha proposto un’alternativa all’accordo, che comunque secondo il 99% della comunità mondiale impedirà all’Iran di ottenere un’arma nucleare”.

L’intesa sul nucleare è stata anche l’occasione per un’apertura diplomatica sino a qualche giorno fa impensabile: quella nei confronti della Russia. “Il 5 + 1 ha retto”, ha notato il presidente, lodando la capacità russa di mantenere aperti i negoziati e la volontà di arrivare a un esito positivo. In effetti, nei giorni scorsi, Vladimir Putin e Obama si sono parlati diverse volte al telefono. Il caso Iran è stato un modo per accantonare, almeno momentaneamente, acredine e incomprensioni scoppiate soprattutto sull’Ucraina. “La Russia è stata d’aiuto”, ha detto Obama, parlando con il New York Times del ruolo di Mosca al tavolo dei negoziati. “Devo essere onesto, non ne ero sicuro considerate le differenze sull’Ucraina”, ha spiegato Obama aggiungendo di essere “rimasto sorpreso da Putin”. Il presidente della federazione “e il governo russo hanno in questo caso distinto gli ambiti in un modo che mi ha sorpreso”, ha spiegato Obama, “e non avremmo raggiunto questo accordo se non fosse stato per la volontà della Russia di rimanere con noi e con gli altri partner del 5+1 nell’insistere per un accordo solido”. L’ammorbidimento delle relazioni con la Russia, grazie all’Iran, è servita a Obama a mostrare che la carta seguita durante buona parte della sua presidenza, quella della diplomazia, è in realtà l’unica possibile. “Parte del nostro obiettivo in questa situazione è mostrare che la diplomazia può funzionare. Non funziona perfettamente, non ci fa controllare tutto, ma ci permette di modellare gli eventi in modo da risolverli”.

Per tutta la durata della conferenza stampa – in cui ha parlato anche di molte altre cose, di relazioni etnico-razziali negli Stati Uniti, di Kenya e persino di Bill Cosby – è stato chiaro che le parole del presidente, rivolte alla propria opinione pubblica, erano anche un modo per rispondere alle critiche che all’accordo con Teheran sono venute dai repubblicani. Mitch McConnell, capogruppo al Senato, lo speaker della Camera, John Boehner, tutti i principali deputati e senatori repubblicani hanno espresso la loro opposizione, parlando di un’intesa che non evita la minaccia di un Iran nucleare e rilancia la corsa alle armi in tutto il Medio Oriente. Alle critiche Obama ha risposto cosi. “La mia speranza – ha detto – è che tutti al Congresso valutino l’intesa sulla base dei fatti. Non sulla base della politica, o di quello che farebbe un presidente repubblicano”. Nonostante i toni bellicosi, i repubblicani sanno comunque di non poter fare molto. Hanno 60 giorni per valutare l’accordo di Vienna. Nel caso il loro responso fosse negativo, Obama ha già detto di voler porre il potere di veto, che solo una maggioranza di due terzi del Congresso (che i repubblicani non hanno) può superare.

Per il resto, il discorso di Obama è stato tutto meticolosamente fondato sull’esposizione di quelli che lui, diverse volte, ha definito “fatti”. E’ un fatto che il regime di Teheran si sottopone a rigide ispezioni, e che in ogni momento le sanzioni potranno tornare in vigore; è un fatto che la crescita delle armi convenzionali iraniane può essere bloccata con il ricorso a meccanismi e patti internazionali che non devono per forza essere inclusi in un accordo sul nucleare; è ancora un fatto che buona parte della comunità internazionale ha perso “miliardi di dollari” a causa del blocco delle forniture petrolifere, e dunque non gradisce che lo stallo vada avanti. In una sola occasione Obama è parso abbandonare i “fatti”, accennando al futuro e dunque all’eredità che lui vuole lasciare all’America. “Tra 10-15 anni – ha spiegato – il futuro presidente americano si troverà a gestire eventuali negoziati con l’Iran in una posizione di maggiore forza”.

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