Al netto dei 64 no al nuovo memorandum di Atene (e implicitamente al progetto-Tsipras), sono i nomi dei contrari a segnare probabilmente la fine di un destino politico comune: larghe intese o elezioni in autunno – circola addirittura una data più ravvicinata, il 13 settembre – poco cambia per chi ha chiuso l’ultima pagina di un libro (dei sogni?). L’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, il presidente del Parlamento Zoì Kostantopoulu e il ministro dell’Energia Panagiotis Lafazanis rappresentavano, in maniera diversa, le tre gambe del premier. E da oggi imboccheranno semplicemente un’altra strada, al pari di un elettorato intero.
“Ho fatto una scelta di responsabilità”, ha detto Tsipras quando la mezzanotte (ora italiana) era appena passata e con essa la deadline promessa ai creditori internazionali tra cui, sponda Schaeuble, l’ipotesi del Grexit continuava ancora a circolare. Prima delle sue parole, quelle delle opposizioni che, da oggi per due terzi, si faranno governo. Le schermaglie di chi, come socialisti e conservatori al potere ininterrottamente da 40 anni, era stato defenestrato dal voto di gennaio. Le rivendicazioni complottiste della pattuglia di Alba dorata, che ha urlato sempre e solo no.
Nel mezzo il cammino del governo che appare ormai al capolinea, dal momento che i 107 voti con cui le opposizioni hanno consentito il sì al nuovo memorandum saranno ricordati a Tsipras ogni due per tre come un macabro gong. Sono stati infatti appena 122 i voti governativi: un duro colpo a maggioranza e premier, di cui qualcuno avrebbe preferito le dimissioni comunque mentre oggi avrà il suo primo colloquio con il Capo dello Stato. Per cui adesso si attende solo il rimpasto di governo che tenga conto non solo delle 64 defezioni complessive, ma soprattutto delle 39 di Syriza (32 no, 6 astenuti e un assente).
A vidimare la rottura (definitiva?) del partito ci pensa il portavoce del governo Gabriel Sakellaridi: “Il risultato del voto è una grave divisione nell’unità del gruppo parlamentare di Syriza. 32 deputati hanno deciso di non sostenere il governo votando contro l’opzione di sinistra per prevenire il rischio di fallimento. Una priorità chiave del Presidente del Consiglio era l’accordo completo”.
La maggior parte dei deputati che ha votato contro fa riferimento alla Piattaforma di Sinistra, al pari del viceministro dimissionario Valavani, che era stata sì rimossa dalla piattaforma ma che ne condivideva ampiamente idee e strategie. E ancora, no anche dai fedelissimi di Manolis Glenzos, l’eroe nazionale (syrizeo già prima di Tsipras), aspramente critico nei conforti del premier quando nel primo Eurogruppo di febbraio fece “una inaspettata marcia indietro”. In quei 64 voti contrari, però, anche deputati colombe come Ioannidis, Diamantopoulos, Dermitzakis, e soprattutto Makrìs che, pur avendo un buon rapporto con il leader, hanno fiutato il cambio di aria. In tutti i sensi. Non solo sono attratti, da oggi, dalla prospettiva (politica ed elettorale) della Piattaforma di Sinistra e da un nuovo speaker (se la battono Varoufakis e Kostantopoulou) ma soprattutto dall’idea che non si fa un governo con “chi ha prodotto il debito greco in contiguità con la troika”, come dice ad alta voce un dirigente syrizeo a notte fonda. Che cosa accadrà adesso? Le mancate dimissioni dei ministri Lafazanis e Stratoulis (“chi le vuole ce le chieda”) sono la plastica raffigurazione delle distanze esistenti tra base e testa.
La complessità e i bizantinismi della politica parlamentare ellenica saranno certamente un ostacolo per chi, come Tsipras, credeva ingenuamente di poter appoggiarsi a maggioranze variabili rimanendo nel solco governativo attuale. I socialisti del Pasok battono cassa con la neosegretaria Gennimata in pole position per gli esteri (si è incontrata la settimana scorsa con Juncker in persona). I centristi del Potami con Theodorakis ufficialmente rifiutano le larghe intese con Syriza, ma ammettendo implicitamente che con un altro frontman ci starebbero (e il giornalista-leader è apprezzato da Schulz in persona). I conservatori di Nea Dimokratia, così come apertamente sottolineato dal segretario Meimarakis, non “saranno stampella di chi ci ha accusati di aver fatto fallire la Grecia”.
Per cui Tsipras, dopo aver incassato un “sì” al piano da 86 miliardi che significa “no” alla sua leadership, vede assottigliarsi spazi di manovra e possibili alleanze. Mentre non smette di risuonare la voce di chi, ancora ieri, gli consigliava di sfilarsi per tentare di restarne, anche se solo in parte, pulito. “Come pensa il premier di poter sopravvivere a chi, dal 1981 ad oggi, ha spolpato la Grecia”? si chiede quando è ormai l’alba uno dei deputati più delusi dal voto. Già, come?
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