Chiusa per ragioni economiche dalla Camera la struttura di San Silvestro, gli assistenti dei parlamentari sono rimasti senza ristorante. Adesso vogliono il ripristino del servizio. Insieme al pieno riconoscimento legislativo della loro figura professionale. In modo da disciplinare finalmente il rapporto di lavoro, il numero di ore lavorate, i contributi e la retribuzione
Collaboratori parlamentari all’attacco. E sì, perché per i cosiddetti “portaborse” i tempi continuano a rivelarsi proprio duri. Innanzitutto per una questione logistica. E poi, ma soprattutto, per la mancanza di una normativa precisa che tracci i contorni della loro figura professionale e la tuteli. Ecco perchè una delegazione della loro Aicp (Associazione Italiana Collaboratori Parlamentari), che conta circa un centinaio di associati, ha chiesto e ottenuto un incontro con Stefano Dambruoso, uno dei tre deputati-questori della Camera, squadernando lamentele e richieste.
Per cominciare, la questione “logistica”. Si tratta del problema della mensa. Dal 30 novembre 2014, infatti, per ragioni economiche i vertici di Montecitorio hanno deciso di chiudere il ristorante di Piazza San Silvestro, nella quale i collaboratori, insieme agli altri dipendenti del palazzo e ai deputati, potevano pranzare. Ebbene, da allora il servizio è stato interrotto. Ma, mentre fuzionari, commessi e parlamentari hanno potuto utilizzare le altre mense e ristoranti gestiti dall’amministrazione di Montecitorio, i poveri portaborse sono rimasti a bocca asciutta. Morale, il taglio del servizio “ha portato certamente un risparmio importante nelle casse del Parlamento”, lamentano gli assistenti degli onorevoli, “ma si tratta di un risparmio ricavato, sulla pelle dei collaboratori perché, ovviamente, il servizio è stato tolto solo a noi”. Da qui, la richiesta di ripristino della mensa.
Poi c’è la questione della figura professionale e della relativa tutela. “In un recente studio siamo stati definiti i fusibili della macchina politica”, scrivono in un comunicato i portaborse, “eppure non vi è alcun tipo di modello contrattuale al quale il parlamentare possa fare riferimento per disciplinare il rapporto di lavoro, non vi è alcuna relazione fra l’incarico ricoperto, il numero di ore lavorate e la retribuzione, e infine non vi è alcuna chiarezza sul dovere di versamento di tasse, contributi né alcun elemento di trasparenza“. Ua situazione spiacevole e che per la verità si trascina da troppo tempo. Come gli interessati hanno fatto presente più volte ai questori della Camera.
“Crediamo sia importante costruire insieme un percorso di pieno riconoscimento legislativo della figura del collaboratore parlamentare”, scrivono ancora, “, ci aspettiamo dunque, entro la fine della legislatura, di giungere ad una nuova e più tutelante normativa del nostro ruolo. La credibilità di questo Parlamento passa anche da qui.”