Proprio oggi, 16 luglio, ricorre il 60° anniversario della prima esplosione nucleare. La guerra in Europa è appena terminata, ma per piegare il Giappone e mandare un segnale all’Urss (che avrà la bomba nel 1949) gli Stati Uniti faranno esplodere ad agosto due bombe atomiche a Hiroshima (6 agosto) e a Nagasaki il 9 agosto. La prova che tutto è ormai pronto avviene ad Alamogordo nel New Mexico con il primo test nucleare il 16 luglio 1945, frutto di un progetto partito nel 1939.

Da allora la minaccia nucleare ha segnato il destino della guerra fredda: la reciproca distruzione fra i due blocchi di alleanze contrapposte sovietica e statunitense, ha garantito la pace in Europa – vero confine tra i due schieramenti -, ma non ha garantito la pace nel mondo, nel momento in cui il processo di decolonizzazione si è spesso inserito come punto di contesa fra Urss e Usa.

Gli unici veri attacchi nucleari, al di là dei numerosi esperimenti, sono rimasti quelli contro il Giappone. Le dotazioni atomiche sono state disciplinate dal trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) entrato in vigore nel 1970, ma non successivamente sottoscritto da India e Pakistan, con la Corea del Nord che si è ritirata dal trattato nel 2001. Israele non ha mai dichiarato di possedere testate nucleari benché gli analisti siano convinti del contrario.

Quando l’Iran, all’inizio degli anni Zero, ha avviato il suo programma nucleare (dichiarato a uso civile), ha accompagnato il suo progetto da esplicite dichiarazioni di volere distruggere Israele, come è accaduto durante gli otto anni di presidenza (2005 – 2013) del leader integralista Mahmud Ahmadinejad. Si consideri che il rapporto tra nucleare civile e nucleare militare mantiene indubbi elementi di familiarità, d’altro canto non si capirebbe perché uno dei più grandi produttori mondiali di greggio debba dotarsi di una fonte energetica alternativa, se questa non consentisse applicazioni militari.

La bellicosa animosità verbale contro lo Stato ebraico non è cessata nemmeno durante i negoziati. Lo scorso ottobre, la massima autorità religiosa dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha pronunciato un violento discorso contro Israele, volto anche a ricompattare le storiche divisioni dell’Islam in nome di un nemico comune.

Allora, in che termini valutare l’accordo tra Stati Uniti e Iran?

1. La comunità internazionale è sempre stata incapace di impedire a uno Stato un programma di sviluppo nucleare. Così è avvenuto per l’Iran, dove l’unica dissuasione possibile è stata quella delle sanzioni internazionali (in vigore da quasi dieci anni), strumento però che non ha frenato lo sviluppo nucleare e che, in assenza di accordi, potrebbe avere dimensioni più preoccupanti.

2. I vincoli di controllo imposti dall’accordo sono stringenti. A garanzia delle intese pattuite – che vanno oltre la relazione bilaterale Usa / Iran – c’è stato l’impegno della Germania e dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (forti anche le pressioni di Putin sull’Iran).

3. In Iran sono diverse le posizioni e le prospettive del leader religioso l’Ayatollah Ali Khamenei e del presidente della Repubblica Hassan Rouhani, quest’ultimo appartenente a un orientamento moderato e riformista, sta cercando di allargare i diritti nel suo Paese, di farlo crescere dal punto di vista economico e non ha mai nascosto la sua propensione al dialogo con l’Occidente.

4. Gli accordi permettono sia a Stati Uniti e Iran di presentarsi come vincitori, i primi perché potranno contare su controlli che prima non erano possibili, i secondi perché potranno continuare a sviluppare il programma nucleare aprendosi a interessanti prospettive di crescita economica con la fine delle sanzioni. Il decollo economico, unito a equi meccanismi di distribuzione della ricchezza, è storicamente un dato non influente sul processo di laicizzazione della società.

Due ultime valutazioni strategiche: quanto continuerebbe a costare, in termini economici e militari, una politica di ostile contenimento dell’Iran?

Un contenimento concordato può essere dissuasivo a una proliferazione nucleare incontrollata tra Golfo persico e Medio Oriente?

Se il Congresso statunitense darà il giusto peso a queste due considerazioni, diventerà più alta la probabilità di un voto favorevole agli accordi. Lo stemperamento della tensione tra Stati Uniti e Iran (lungi dal riconvertire le alleanze nell’area) porterà gloria a Barack Obama e qualche vantaggio in più al prossimo presidente americano, democratico o repubblicano che sia.

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