“L’altoforno 2 dell’Ilva va spento”. Non cede di un millimetro la Procura di Taranto che poche ore fa ha inviato i carabinieri del Reparto operativo nello stabilimento siderurgico per apporre i sigilli all’impianto sequestrato senza facoltà d’uso e nel quale ha perso la vita l’operaio Alessandro Morricella. I militari sono entrati nel reparto e hanno identificato e denunciato 19 operai (3 della ditta d’appalto Semat) presenti sul campo di colata a svolgere la mansione che è costata la vita all’operaio 35enne. Un punto che ha scatenato le ire di Marco Bentivogli, della Fim Cisl, che tramite Twitter ha spiegato che “carabinieri irrompono in azienda e identificano operai al lavoro in Afo 2 per non aver ottemperato spegnimento come se dipende da loro”.
La questione, però, è molto più complessa: la battaglia in punta diritto tra magistratura da un lato e Ilva e governo dall’altra, potrebbe oggi giungere allo scontro finale e al centro, ancora una volta, ci sono i lavoratori. Per i magistrati, infatti, il decreto salva-Ilva viola ben sei articoli della Costituzione e quindi fino a quando la Corte Costituzionale non avrà sancito la legittimità della norma questa non sarà applicata all’inchiesta tarantina. L’impianto, quindi, resta sotto sequestro e senza facoltà d’uso: un punto che di fatto significa spegnimento dell’intera fabbrica. Come già spiegato, infatti, l’Ilva rimarrebbe con il solo Altoforno 4 attivo che tuttavia non è in grado di generare energia sufficiente per tenere attiva anche la centrale della fabbrica. L’intera fabbrica, per motivi di sicurezza, va quindi fermata.
Per l’azienda, invece, l’ottavo decreto salva-Ilva va applicato, dato che è chiaro l’intento del Governo e il provvedimento è entrato in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Nel pomeriggio Ilva ha convocato le organizzazioni sindacali per illustrare quanto avvenuto nel reparto e i sindacati hanno rappresentato la paradossale situazione dei lavoratori che non possono abbandonare il posto di lavoro perché anche in fase di spegnimento dell’Altoforno il personale deve ovviamente vigilare sulle procedure, ma allo stesso tempo si becca la denuncia dei carabinieri per aver violato i sigilli di un impianto sequestrato.
Al termine della riunione con l’azienda, le sigle Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm Uil hanno comunicato che “in attesa di sviluppi chiari e definiti, chiedono all’azienda di adoperarsi immediatamente al fine di assicurare oltre a quanto previsto dalle norme di legge e di contratto, ponendo in essere ogni eventuale tutela giudiziaria, immediata e futura, nei confronti dei lavoratori interessati”, sottolineando che “i lavoratori siano privi di qualsiasi responsabilità diretta e per quanto tali, non debbano essere coinvolti da provvedimento alcuno anche e soprattutto in termini di sicurezza e salvaguardia impiantistica”.
La situazione, insomma, è ancora tesa. Il decreto varato dal Governo Renzi non solo non ha fugato i dubbi, ma sembra aver complicato le cose. L’Afo 2, infatti, è un impianto nel quale non sono garantite le norme di sicurezza per i lavoratori, ma per l’esecutivo può essere utilizzato dall’azienda. I giudici invece sostengono che questo potrà avvenire solo dopo il pronunciamento della Consulta. Com’è noto, il gip di Taranto Martino Rosati ha inviato gli atti alla Corte Costituzione evidenziando, tra gli altri, la violazione dell’articolo 2 della Costituzione che impegna lo Stato a garantire i diritti inviolabili dell’uomo che invece non sarebbero rispettati, visto che – è sempre il parere di Rosati – il nuovo provvedimento prevede “l’esercizio dell’attività d’impresa pur in presenza di impianti pericolosi per la vita o l’incolumità umana senza pretendere dall’azienda l’adeguamento degli stessi alle più avanzate tecnologie di sicurezza”. Ilva intanto avrebbe raccolto il parere di eminenti costituzionalisti per far valere le sue ragioni, ma al al momento la soluzione appare ancora una volta legata all’intento governativo: un emendamento al decreto in fase di conversione, che autorizza Ilva a utilizzare l’impianto sequestrato in attesa della pronuncia della Consulta.