“Non bisogna disfare la tela”, ordina Giorgio Napolitano in merito alla riforma del Senato e subito il Corriere della Sera osserva che “parole così allarmate non si ascoltavano da tempo”. Da quando, aggiungiamo noi, l’ex presidente sedeva al Quirinale e interveniva a suo piacimento sui premier da lui nominati e mai eletti (Monti, Letta, Renzi), mettendoli in riga con il piglio del sovrano assoluto. Il tonante monito lanciato mercoledì in commissione Affari Costituzionali di palazzo Madama, pone due problemi non indifferenti. Il primo riguarda direttamente Matteo Renzi a cui il risorto Re Giorgio dice di non azzardarsi a concordare con la minoranza Pd il ripristino dell’elettività del nuovo Senato. Che resti perciò il dopolavoro per nominati bolliti, ideato a suo tempo dai legulei del Colle. E se dovessero mancare i numeri per l’approvazione della porcata, si ricorra pure al soccorso della banda Verdini: questo il monito non lo dice ma neppure lo esclude. Secondo problema: Mattarella. Il cui mutismo assoluto, e in particolare su tutto ciò che faceva debordare il suo predecessore, è scelta da rispettare. Ma può continuare a tacere se il presidente emerito ingiunge cosa fare e non fare sulle istituzioni, come se al Quirinale ci fosse ancora lui? Non è, in fondo, la stessa arroganza del premier che convinto di non essere ascoltato voleva fare eleggere lassù “un incapace”? Esiste la parola basta?

il Fatto Quotidiano, 17 luglio 2015

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