Tutto ha inizio in una calda serata di giugno, quando il Relatore del Ddl di delega al governo per la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche presenta un emendamento in Commissione Affari Costituzionali (Em. 7.1001) che, in pratica, trasferisce al governo la funzione legislativa sulla portualità italiana: materia soggetta, in base alla Costituzione vigente, alla potestà legislativa concorrente Stato-Regioni.
Ma c’è di più.
L’emendamento in questione non dice neanche una parola sui principi e i criteri direttivi che dovrebbero guidare il governo nell’esercizio della delega legislativa che, in questo caso, riguarda il processo di riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina delle Autorità portuali.
Neanche una parola sulle modalità in base alle quali accorpare o sopprimere queste Autorità.
Neanche una parola o il benché minimo riferimento ai dati sulla movimentazione delle merci e dei passeggeri nazionali e internazionali, alla coerenza con la programmazione comunitaria, ai corridoi plurimodali, alle Reti transeuropee Ten-T ecc.
Neanche una parola, infine, sulla sorte dei lavoratori attualmente impiegati presso queste Autorità.
Una delega “in bianco” in piena regola e in palese contrasto con l’art. 76 della Costituzione che recita espressamente: “L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi, e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”.
Veramente complimenti al ministro Madia, al ministro Delrio e al relatore del provvedimento che, tra le altre cose, in Parlamento dovrebbe rappresentare la maggioranza e l’opposizione, per essere arrivati a scrivere una cosa del genere, senza tenere conto che la riforma della legislazione in materia portuale è da tempo all’esame del Parlamento e, soprattutto, che sino ad oggi, non è stato ancora affrontato alcun dibattito sul “Piano Strategico nazionale della portualità e della logistica”, visto che il relativo documento è stato trasmesso alle Camere solo recentissimamente ed il suo esame non è ancora stato avviato presso le relative Commissioni di merito.
E adesso, che quell’emendamento è stato approvato dall’Assemblea della Camera, seppur con una piccola riformulazione dove si legge “All’articolo 7, comma 1, lettera e), dopo la parola «governance» aggiungere le seguenti: «tenendo conto del ruolo delle regioni e degli enti locali»”, si impedisce definitivamente al Parlamento di esercitare pienamente la funzione legislativa in una materia di straordinaria importanza e rilevanza strategica per il nostro Paese.
Francamente non so se il Presidente Mattarella sia stato adeguatamente informato di quel che sta succedendo in Parlamento in questi giorni, perché quello cui ci troviamo di fronte è, con tutta evidenza, un precedente di gravità inaudita.
Per mesi si è detto di voler discutere della riforma della portualità, ma con questa manovra nel Ddl Madia, al netto della mancata discussione in Parlamento del “Piano strategico nazionale della portualità e della logistica”, il governo sembrerebbe portare ad ogni costo sotto il suo controllo tutte le problematiche inerenti la portualità italiana, escludendo qualsiasi partecipazione e coinvolgimento da parte del Parlamento, dei territori, dei lavoratori e degli operatori marittimi da questa partita.
Mi auguro che il Presidente Mattarella intervenga al più presto sulla questione e, in ogni caso, sul governo -che ha evidentemente ispirato l’emendamento predisposto dal Relatore- affinché venga avviato al più presto un dibattito serio e sereno sul futuro della portualità nel pieno rispetto dei principi costituzionali e tutelando concretamente gli effettivi interessi del sistema Paese. Perché semplificare e razionalizzare si può e si deve fare, ma non certo con queste modalità.
Invito il Presidente Mattarella a leggere gli interventi svolti in aula alla Camera dai Relatori di Minoranza del provvedimento, l’On. Quaranta (Sel) e l’On. Lombardi (M5s), , nonché il contenuto degli emendamenti presentati dai Gruppi Parlamentari nel vano tentativo di correggere una norma platealmente incostituzionale. Siamo ancora in tempo Presidente per fare qualcosa nel successivo passaggio al Senato.