Alla società mancano diciotto milioni di euro. Sulla vertenza che avrebbe dovuto rilanciare lo stabilimento siciliano, ex Fiat, ci aveva messo la faccia lo stesso premier Matteo Renzi
Non c’è pace per Termini Imerese. Ora nel capitale sociale di Blutec, la società che ha rilevato lo stabilimento dalla Fiat, mancano all’appello 18 milioni di euro. Una mancanza che, secondo il sindacato Fiom Cgil, getta ombre sul piano di rilancio dell’impianto siciliano, ormai fermo dal 2011. E che diventa ancora più preoccupante se si considera che l’azienda si era impegnata a raggiungere i 100 milioni di capitale entro il primo semestre del 2015. Una situazione che ricorda gli ultimi pretendenti dello stabilimento, partiti con grandi promesse e poi rivelatisi dei bluff. “Il governo ha garantito sulla solidità di Blutec, ma l’azienda non ha onorato gli impegni – spiega Michele De Palma, responsabile del settore auto Fiom – Chiediamo una verifica sull’accordo e sull’attuazione del piano nell’ambito di un tavolo al ministero per lo Sviluppo economico. Ognuno si assuma le proprie responsabilità”.
Le recriminazioni del sindacato hanno origine dall’accordo firmato lo scorso 22 dicembre al Mise. Con quella intesa, la Blutec, newco partorita dal gruppo metalmeccanico Metec, si impegnava ad assumere gli operai ex Fiat, a rilevare lo stabilimento e rilanciarne la produzione. La firma del documento aveva scongiurato i licenziamenti dei lavoratori (circa mille persone tra dipendenti Fiat e indotto) a una settimana dalla scadenza dei termini, dopo tre anni di incertezze. Un salvataggio in extremis che comprendeva 290 milioni di aiuti pubblici garantiti da Stato e Regione Sicilia. “L’accordo – ricorda De Palma – prevedeva che, entro 90 giorni dalla sua firma, Blutec dovesse completare il versamento del capitale. Ma l’intesa rimane ancora inattuata”. Se i novanta giorni scadevano a fine marzo, infatti, a metà luglio la situazione non è cambiata rispetto al momento dell’accordo. Secondo i registri della Camera di commercio di Chieti, il capitale deliberato da Blutec ammonta a 24 milioni di euro. Ma di questa somma, la società ha versato solo 6 milioni. Di conseguenza, mancano all’appello 18 milioni di euro. E anzi, il piano industriale di dicembre sostiene che, entro il primo semestre del 2015, “il gruppo Metec capitalizzerà la Blutec fino al raggiungimento di 100 milioni di euro”. Anche di questa promessa non c’è traccia.
“Dall’azienda non abbiamo avuto alcuna risposta – prosegue il sindacalista – E nemmeno dal Governo. Per il 16 giugno scorso, era stato fissato un incontro con Blutec, Invitalia e Mise per fare il punto della situazione. Ma la riunione è stata rinviata e stiamo ancora aspettando la convocazione”. La Fiom chiama in causa direttamente il Governo. Quell’accordo, infatti, era stato firmato dal ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi e dal viceministro Claudio De Vincenti, ora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. E sulla vertenza ci aveva messo la faccia lo stesso premier Matteo Renzi, che l’anno scorso si era presentato personalmente nel Comune siciliano. “Se la situazione non si sbloccherà – spiega De Palma – come Renzi il 14 agosto dell’anno scorso si è recato a Termini Imerese, assumendosi l’impegno di risolvere la situazione, il 14 agosto di quest’anno saremo noi a Roma da lui a rivendicare il rispetto di quell’impegno”.
D’altra parte, non è la prima volta che i sindacati lamentano una violazione degli accordi da parte di Blutec. In attesa dell’autorizzazione della cassa integrazione, l’azienda si era impegnata ad anticipare ogni mese l’ammortizzatore sociale ai propri dipendenti. Eppure, a fine aprile i lavoratori non avevano ricevuto gli assegni di marzo e avevano subito protestato parlando di impegni disattesi. Dopo qualche settimana, la situazione si era sbloccata e i pagamenti erano tornati ad essere regolari. Ora, però, la nuova tegola del capitale mancante rievoca poco confortanti fantasmi del passato. Anche Grifa, l’ultima società in ordine di tempo a presentarsi come pretendente di Termini Imerese, vantava un capitale deliberato di 25 milioni di euro e prometteva una ricapitalizzazione fino a 100 milioni. Ma poi la somma non era mai stata convertita in contanti. E l’azienda si era rivelata una scatola vuota, senza soldi.