Secondo i pm dell'inchiesta sui colletti bianchi, seguita agli arresti di Aemilia, il gruppo Save di Montecchio era finito sotto il controllo del boss Nicolino Grande Aracri dopo un periodo di crisi economica. Socio occulto, per i pm, Alfonso Diletto, ritenuto uno dei promotori dell'associazione mafiosa. L'azienda aveva lavorato agli appalti di Malpensa, del porto di Fiumicino e dell'Ospedale di Parma. L'avvocato: "Questi che arrivano sono la 'ndrangheta... hanno in mano tutta Reggio"
Soldi, affari, prestanome, insospettabili emiliani alla guida di società in mano ormai alle ‘ndrine. Senza i nove arresti di giovedì 16 luglio forse non si può capire il senso di tutta l’operazione Aemilia, che a gennaio aveva portato a 117 arresti e allo scardinamento da parte della Dda di Bologna (nella foto il Procuratore Roberto Alfonso) di una vera e propria ‘ndrina emiliana. Una cosca legata a Cutro e al suo boss Nicolino Grande Aracri, autonoma e libera di operare in Emilia e in altre parti del Nord. I nuovi ordini di custodia, oltre allo stesso Grande Aracri, hanno raggiunto tra gli altri Michele Bolognino e Alfonso Diletto, tutti già detenuti. I nomi che colpiscono di più invece sono quelli di Giovanni Vecchi (finito in carcere) e della sua compagna Patrizia Patricelli (ai domiciliari): l’accusa per loro è quella di trasferimento fraudolento di beni e di impiego di denaro beni o utilità di illecita provenienza, con l’aggravante di avere agito per agevolare l‘associazione mafiosa.
Per entrambi un passato da imprenditori modello nella loro Montecchio Emilia, tra Reggio e Parma. La loro azienda Save, fondata 40 anni fa, aveva lavorato in grandi appalti in giro per l’Italia: solo per citarne alcuni, il Molino Stucky di Venezia, l’aeroporto di Malpensa, il nuovo pronto soccorso dell’ospedale Maggiore di Parma. La loro ditta era arrivata ad avere sino a 150 dipendenti. Poi ecco arrivare la crisi economica, ma anche un subappalto andato male: i lavori per la realizzazione del porto turistico di Fiumicino in mano all’imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone. Ma qui qualcosa non funziona: la Save viene estromessa dai lavori. Ne nasce una diatriba su dei presunti mancati pagamenti: resta il fatto che tra il 2011 e il 2013 la situazione per l’azienda di Montecchio si fa drammatica e si profila il fallimento.
Secondo i pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi non ci sono dubbi. Dopo questa bufera, nel 2013 dietro la compagine societaria dei vari gruppi Save (Save Group, Save International, Save Engineering, Impregeco) altri non ci sarebbe che Alfonso Diletto, finito in carcere nell’operazione Aemilia con l’accusa di essere uno dei promotori dell’associazione ‘ndranghetistica. Anzi all’interno della Save international (ora finita sotto sequestro) con sede a Malta, il nome di Diletto dal febbraio 2013 compare anche direttamente: forse all’estero, spiegano gli inquirenti, Diletto pensava che i suoi capitali non sarebbero potuti essere intaccati. Non è chiaro perché Diletto punti su quelle aziende. Di sicuro, secondo i pm, ne diventa il padrone occulto.
Ma è una intercettazione ambientale del giugno 2013 a Roma a dipingere meglio il ruolo di Diletto impegnato ad evitare il fallimento della Save. Siamo nello studio dell’avvocato Giovanni Benedetto Stranieri, un ex carabiniere passato alla professione forense già arrestato a gennaio scorso con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Stranieri è assieme all’avvocato Saverio Mazzeo. I due stanno aspettando Alfonso Diletto e Patrizia Patricelli e con loro dovranno parlare proprio della procedura fallimentare che riguarda la Save: “Questi che arrivano, ti faccio vedere … Questi… questi è ‘ndrangheta, capito?”. Poco prima Stranieri aveva anche raccontato al suo interlocutore di chi era diventato legale: “Allora, Nicolino Grande Aracri, questo qua è il capoclan della ‘ndrangheta”. Poi aggiunge: “Allora questi qua c’hanno tutta Reggio Emilia… perché c’hanno 7000 calabresi a Reggio Emilia e 3-4mila a Parma”.
Dopo essere giunto nello studio di Stranieri, è Diletto a prendere la parola mentre Patricelli, notano gli inquirenti, “ancorché socia dell’impresa, (era) relegata a una posizione assolutamente marginale, a fronte del ruolo interpretato da Diletto che pur in assenza di una carica formale, sembrava essere il dominus di fatto della società emiliana”. Si pensa a come evitare il fallimento: si enumerano i crediti vantati dalla Save con molte aziende. In passato l’azienda ha lavorato con nomi importanti: non solo Caltagirone, ma anche le imprese Pizzarotti di Parma e la Astaldi. Tutti nomi questi ultimi tre, del tutto estranei all’inchiesta della Dda, ma che danno l’idea di quale giro di affari Diletto avesse cercato di prendere in mano in maniera occulta. E poi ci sono in ballo gli appalti milionari in Africa: Costa d’Avorio, Ghana, Bulgaria. La Save insomma va salvata, ma il fallimento arriverà poche settimane dopo.
Secondo gli inquirenti, Nicolino Grande Aracri in persona conosceva la situazione della Save e del rischio fallimento. È lo Stranieri a riferirglielo durante un colloquio tra i due nel carcere di Bari nel quale il boss era allora detenuto. I due parlano della vicenda del fallimento Save Group e della carenza di liquidità. Secondo i pm di Bologna è questo è l’indizio più importante per dimostrare che quella societrà era riferibile a Diletto, e indirettamente al capo Nicolino Grande Aracri.
Nell’ordinanza del gip Alberto Ziroldi che ha portato ai nove arresti, a numerose perquisizioni e a un sequestro di beni per oltre 330 milioni di euro compare anche il nome di Lea Garofalo, la testimone di giustizia uccisa a Milano nel 2009 dal padre di sua figlia. Siamo nell’ottobre 2013 e l’avvocato Stranieri parla con sua sorella dell’arresto di 17 persone. Un arresto scatuirito dalle dichiarazioni fatte anni prima proprio della Garofalo: “Hai visto il telegiornale che cosa è successo oggi? Se tu vedi 17 persone hanno arrestato a Cutro”. Nel dialogo si parla di Nicolino Grande Aracri, arrestato anche lui, e poi della donna che aveva deciso di rompere con l’ambiente familiare mafioso da cui proveniva: “La pentita (definizione sbagliata, in quanto Lea Garofalo non è mai stata accusata di alcun crimine ed era entrata nel programma di protezione in qualità di testimone di giustizia, ndr)… quella che poi hanno sciolto nell’acido (in realtà uccisa e bruciata, secondo quanto emerso nel processo, ndr)… ma non hai letto il giornale? Non hai visto?”. La sorella allora chiede se questi fatti fossero in qualche modo collegati alla vicenda della società Save della quale lui si stava occupando: “C’entra, c’entra”, risponde Stranieri. È questo dialogo, secondo i pm, un indizio del legame tra Grande Aracri e la Save (la quale, sia chiaro, non c’entra niente con la tragica vicenda della Garofalo).
L’avvocato Stranieri del resto sembra essere sempre pronto a ricordare ai suoi interlocutori quanto sia potente Grande Aracri: “In questo paese a Cutro, abita, vive, dirige e organizza il numero uno, anzi il numero 2 non in Italia, del mondo, di ‘ndrangheta. Il primo è la famiglia Piromalli – spiega Stranieri in una intercettazione del novembre 2013 – il numero 2 del mondo si chiama Nicola Grande Aracri, mi sono mi sono spiegato bene?”. Poi torna sul potere della ‘ndrangheta in Emilia: “A Reggio Emilia ci sono 11mila cutresi, si sono trasferiti a Modena, Parma e Reggio Emilia”. Stranieri non ha dubbi: “Comandano loro mi sono spiegato? Non si muove foglia che Dio non voglia (…) per andare a prendere una bottiglia di vino devi andare a chiedere là… sono stato chiaro?”.