Centoventicinque milioni di donne nel mondo secondo l’Organizzazione mondiale della sanità. 500mila sono residenti nell’Ue, per la Commissione europea. E, secondo i dati del Ministero delle Pari opportunità, in Italia ne esistono 35mila. Una stima esatta è impossibile, ma di donne sottoposte alle mutilazioni genitali ce ne sono ancora molte.
Gloria è una di loro. E ha raccontato la sua storia a FQ Magazine rendendo disponibile l’introduzione della sua tesi di laurea in infermieristica. Lei in Africa faceva l’ostetrica, come sua nonna prima di lei. Ma “praticavamo anche la circoncisione, sia sui maschi che sulle femmine”. Gloria quindi, era anche una ‘mutilatrice’. “Un giorno – ha comunicato – all’età di 11 anni, mi dissero che avremmo dovuto praticarla (la mutilazione genitale ndr) a una bambina di 9 anni. Non le era stata fatta alla nascita, come è capitato a tutte noi, perché era malata e nessuno pensava che avrebbe potuto farcela a sopravvivere. Arrivò il giorno dell’intervento. Ma la bambina iniziò a scappare. E urlava. Dovemmo rincorrerla e prenderla con la forza. Io, in realtà, non capivo perché faceva così. In fondo i suoi genitori volevano solo ‘lavarla dalla vergogna’ che altrimenti si sarebbe portata dietro per tutta la vita. Alla fine la piccola fu presa, fu tenuta ferma da alcuni uomini e circoncisa tra le urla. Da quel giorno ha iniziato a trattenere l’urina per il troppo dolore. Questo mi spaventò molto e fu uno dei motivi che mi spinsero a condannare la pratica per sempre. Quella bambina poi è diventata una ragazza, si è sposata e ha avuto una figlia. L’ha sottoposta a mutilazioni genitali. Lei crede nelle sue tradizioni e ha pensato che fosse giusto farla”. Gloria è nata in Camerun, ma ha vissuto in Nigeria fino a 19 anni, quando ha deciso di lasciare l’Africa per venire in Italia. Da quel momento abita e lavora nel nostro Paese: “Durante il mio tirocinio al Dipartimento di Salute Mentale ho incontrato una paziente nigeriana in depressione post-partum. Viveva nell’incubo che le fosse sottratta di nascosto la sua bambina appena nata per sottoporla a sua insaputa alla pratica della mutilazione genitale femminile”.
Nosotras onlus: “Adotta un’ex mutilatrice”
Per Gloria, ma più in generale, per tutte le donne che sono delle “mutilatrici” c’è una possibile soluzione. Nosotras Onlus ha pensato alla campagna Ex Ex, adotta un’ex mutilatrice. Sara Demurtas, responsabile del settore Mgf di Nosotras, ha spiegato che l’idea alla base del progetto è una raccolta fondi. Versando cioè una cifra destinata ad una mutilatrice, la donna riceve un sostentamento economico e può “abbandonare il coltello. E il fatto che questo avvenga fa pensare che le mutilazioni possano effettivamente diminuire in Africa”.
Perché è in questo continente che le Mgf sono più diffuse. L’Oms le divide in quattro gruppi principali. Nel primo è compresa la clitoridectomia, con “la rimozione totale o parziale del clitoride o, in alcuni casi, solo della pelle che lo circonda”. Poi c’è l’escissione, che prevede “la parziale o totale rimozione del clitoride o delle piccole labbra con o senza escissione delle labbra maggiori”. L’infibulazione propriamente detta invece, si basa sul restringimento dell’apertura vaginale. Infine ci sono altri interventi, che comprendono pratiche di varia natura che agiscono sui genitali per modificarli, ad esempio “punture, perforazioni, incisioni, raschiatura e cauterizzazioni”. In questo quarto tipo rientra anche l’utilizzo di acidi immessi direttamente nel canale vaginale.
Careggi: “Numero di infibulate arrivate in Italia cresce”
In Italia quindi, ci sarebbero 35.000 donne, residenti nel territorio, che sono state sottoposte a queste pratiche. E 1.100 bambine sono potenziali soggetti a rischio. Le cifre che il ministero delle Pari opportunità ha raccolto sono però datate. La ricerca risale al 2009. L’istituto Piepoli, che ha partecipato all’analisi, ha confermato che non c’è uno studio così approfondito più recente.
Il dottor Omar, medico e direttore del centro per la prevenzione e la cura delle Mgf dell’ospedale Careggi di Firenze, una delle strutture all’avanguardia in Italia sul tema, ha detto che “non ci sono censimenti nuovi. Ma il numero di donne con Mgf con cui veniamo a contatto è cresciuto di pari passo con l’aumento degli sbarchi”. Centri ospedalieri come Careggi o come il San Camillo di Roma, cercano di prevenire le mutilazioni e di curare ferite fisiche e psicologiche. “A Firenze cerchiamo di sensibilizzare le famiglie – ha detto il dott. Omar – di spiegare loro che esiste una legge che vieta le mutilazioni, di dialogare affinché le donne decidano di deinfibularsi. Facciamo prevenzione quindi, ma ci occupiamo anche della cura, proprio deinfibulando”.
“Perché esistono le Mgf? Sono consuetudini. O servono per relegare il femminile nella subalternità”
Ma perché in molti Paesi si praticano le mutilazioni genitali femminili? La dottoressa Maria Concetta Segneri, antropologa delll’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti, ha spiegato alcune delle motivazioni che stanno dietro alla perpetuazione di queste pratiche: “In Africa spesso sono considerate consuetudini per entrare nell’età adulta. Sono utilizzate per venire accettate nella società, per sposarsi ad esempio. In alcuni contesti invece, può accadere che siano usate per spingere il femminile verso una condizione di subalternità. E questo può accedere, per esempio, durante periodi di conflitto armato tra gruppi sociali. Le motivazioni che si trovano alle base delle MGF insomma, possono cambiare. Quando una donna emigra invece, la pratica può essere risignificata. A questo punto bisogna capire perché le persone continuino a praticarla. Bisogna interrogarsi sul perché una cittadina straniera che vive da anni in un Paese come l’Italia decida comunque di escidere o infibulare sua figlia. Oltretutto in Italia le MGF sono vietate per legge”.
In Italia si infibula illegalmente
Nel nostro Paese infatti, c’è una legge del 2006, recante “disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile”. La presenza di una normativa però, non esclude che qualcuno possa tornare nel proprio Paese per affrontare la pratica o che, escissioni o infibulazioni, vengano comunque fatte per vie illegali. C’è stato, ad esempio, un caso a Perugia dove nel 2014 sono stati arrestati due coniugi nigeriani con l’accusa di aver sottoposto le proprie figlie all’infibulazione, al di fuori comunque dei confini nazionali. Un altro caso si è verificato “anche a Verona”, come ha detto il dottor Omar del Carreggi. In quel caso era finita in manette una nigeriana che era disposta a sottoporre alla pratica dietro pagamento. Succede quindi, anche in Italia.
Ma in Italia c’è anche un problema collaterale connesso alle Mgf, che “sta emergendo solo negli ultimi tempi” come dice Sara Demurtas di Nosotras, è quello delle adozioni. “Se gli italiani adottano una bimba che poi scoprono essere mutilata provano un senso di disagio – ha sottolineato il dottor Omar del Careggi – la famiglia italiana ha una propria cultura, avere una bimba così non è facile”. Demurtas conferma: “Una famiglia italiana ha rifiutato una bambina perché non sapeva come gestirla. I genitori lamentavano di non essere stati avvertiti al momento dell’adozione. La piccola è stata rifiutata, ed è tornata a casa. Così si è trovata a soffrire due volte”.