MENDE. Oggi Chris Froome posta su Twitter un accorato “happy MadibaDay”, il giorno che ricorda Nelson Mandela e i suoi valori. Volontà e solidarietà. La maglia gialla ha il cuore in Africa. L’Africa della sofferenza e della libertà riconquistata. Chris è assai attento alle tematiche sociali e alle iniziative non profit. La maglia gialla è nata a Nairobi il 20 maggio del 1985. Mandela era ancora un galeotto. Ci rimase sino al febbraio del 1990. Ciascuno può trasformare il mondo, è uno dei messaggi del MadibaDay. Froome l’ha fatto in bici. Ma qualcuno, proprio oggi, gli ha gettato in faccia una bicchierata d’urina, e gli ha gridato: “Sei un dopato!”. Froome l’ha raccontato durante la conferenza stampa, indignato e furibondo con i tifosi francesi: “Quello che è successo è il risultato di una campagna del sospetto generata anche da giornalisti irresponsabili. Sanno a chi mi riferisco”. Ce l’ha con alcuni ex corridori che sono al seguito come commentatori (Laurent Jalabert, Cedric Vasseur, Richard Virenque e Jacky Durand). Polemiche avvelenate. Froome non accetta le prediche, tantomeno l’insinuazione, da parte di chi ebbe grossi problemi con il doping.
Ma andiamo con ordine. Perchè di cose da ricordare oggi, ce ne sono.
1) Plana sul Tour il presidente François Hollande, gran tifoso di ciclismo. Sale sull’auto di Christian Prudhomme, il direttore della corsa (dal 2007), per assistere a qualche fase della corsa e poi fiondarsi all’arrivo della quattordicesima tappa, da Rodez a Mende, dopo 183 chilometri su e giù per le Civenne, in quello che è il dipartimento meno popolato di Francia. Al bivio di Saint-Énimie, quando mancano 41 chilometri e mezzo all’arrivo, il presidente scende dalla vettura e aspetta il passaggio degli uomini in fuga e del gruppo con la maglia gialla, per applaudirli, prima della salita alla Côte de Sauveterre, un gran premio della montagna di seconda categoria (nove chilometri di ascesa con una pendenza media del 6 per cento). Hollande avrà sorriso, leggendo il cartello che incita Froome in swahili, “simba va niykka”, o sbirciando i fans norvegesi travestiti da vichinghi e quattro nerboruti giovanotti con tette finte e parrucche multicolore che danzano languidamente…la gente del Tour è anche questa, tra carnevale e sagra di paese. Gente che aspetta ore per vedere sfrecciare in pochi istanti gli eroi della strada.
2) Entrando a Mende, al centro di una rotatoria, c’è una statua che ritrae Raymond Poulidor: a suo modo, una maschera sfortunata nel teatrino della bicicletta. Non indossò mai la maglia gialla ma fu protagonista di tanti duelli con Jacques Anquetil, il migliore tra la fine degli anni Cinquanta e la prima metà dei Sessanta. Gli ultimi chilometri della tappa sono perfidi, con una salita ad oltre il dieci per cento che porta a quota 1055, fin su un altopiano dove c’è l’aerodromo di Mende-Brenoux e 1500 metri di leggera discesa all’inizio e di piattume soffocante alla fine. L’asfalto rilascia vampate assassine, lo striscione d’arrivo che si scorge fin da subito, appena superata la Côte de la Croix Neuve, pare un miraggio.
Michal Golas e Nathan Haas affrontano le rampe cittadine in testa, dietro gli inviperiti compagni della fuga (tra i quali Peter Sagan) li tallonano come setter che bramano agguantare la selvaggina. Li riacciuffano a tre chilometri e mezzo dal tragurdo. Il gruppo di Froome è lontano. Scatta il giovane Romain Bardet, lo segue l’inglese Simon Yates. Fatica e caldo=bollitura. Yates rinuncia. Avanza dalle retrovie Rigoberto Uran Uran, mentre Thibaut Pinot recupera metro su metro. Uran cede. Restano in testa Bardet e Pinot. Se al Nord era un Pinot noir, oggi è un Pinot spumeggiante. La folla incita i due francesi: ciclopatriottismo, la France va a vincere davanti alla France. Impersonata da Hollande.
Ma il ciclismo è beffardo. Appena la salita si appiattisce, sui francesi si abbatte come un falco l’inglese Stephen Cummings. Questi britons a pedivella egemonizzano il Tour. Cummings va a doppia velocità. Zigzaga fra i due, si abbassa sul manubrio per guadagnare in aerodinamicità. Progressione implacabile. Vince. A due secondi Pinot. Bardet è di nuovo terzo, come al Plateau Beille. Uran è quarto, Sagan quinto, Yates decimo. A proposito di Sagan, il suo patron, l’oligarca russo Oleg Tinkoff stava sull’ammiraglia della squadra Tinkoff-Saxo. Peter voleva una borraccia d’acqua, Tinkoff gli ha allungato un biglietto: “Stage win or Gulag”. O vinci la tappa o Gulag”. Equazione davvero sportiva.
Cummings ha 34 anni ed è un veterano del professionismo, è nato non lontano da Liverpool nella contea del Merseysyde. Corre per la squadra sudafricana MTN-Qhubeka, quella dell’eritreo Daniel Teklehaimanot che all’inizio del Tour ebbe la sua oretta di gloria perché è stato il primo africano a indossare la maglia a pois di migliore scalatore del Tour. e che si piazza onorevolmente 39esimo (in classifica è 63esimo). Oggi l’Africa rompe un altro tabù, è la prima volta al Tour che vince una squadra del Continente Nero “proprio nel giorno di Mandela”. Froome per un attimo abbandona l’ira del piscio in faccia. Sorride soddisfatto: “E’ il Tour degli inglesi”. Hollande abbozza.
3) Intanto, c’è l’altra corsa. Quella dei più forti. Hanno quattro minuiti e mezzo di ritardo. C’è tempo per godersi assaggi di battaglia che verranno scatenate sulle Alpi, dopo il riposo di Gap, lunedì 20 luglio. Il primo zoom è italiano. Attacca sulle prime rampe durissime un Vincenzo Nibali determinato e orgoglioso. Nairo Quintana si accoda. Alberto Contador galleggia tra Nibali, Quintana e Chris Froome che saggiamente razionalizza lo sforzo e non reagisce. Comunque, su un tipo di salita che non gli si addice, Nibali mostra buoni segnali di ripresa. Non è ancora al meglio, si gira un paio di volte, vede che il distacco da Froome è modesto. Tant’è che Quintana lo molla. Il siciliano si pianta, stavolta però non va a picco. Contador e Alejandro Valverde gli stanno davanti. Froome decide che Quintana va ripreso. Non tollera scherzi dal Condor delle Ande. Aumenta i giri della pedaliera, china la testa di fianco, accompagna le rotazioni con smorfie che diventano un ghigno feroce. Con facilità raggiunge Quintana. Il Condor non si arrende. Scatta ancora una, due volte. Froome gli si incolla alla ruota. Vuol demoralizzare. Quintana scambia uno sguardo col padrone del gruppo. Pure il colombiano ha la faccia del cattivo.
E’ tutta una questione di gerarchie. Nibali per Froome non è più un avversario da temere. Come Contador e Valverde: che se la sbrighino fra di loro, questioni interne spagnole…Solo Quintana lo impensierisce seriamente. Il Condor è indecifrabile. Aspetta le lunghe arrampicate alpine: l’Alpe d’Huez, la Croix de Fer, la Toussuire venerdì. Il giorno prima c’è il Col du Glandon, mercoledì dopo il Col d’Allos l’arrivo a Pra Loup. Ecco perché lo marca stretto, lo francobolla spietatamente.
Nibali mantiene una pedalata che gli permette di staccare Tejay Van Garderen che perde leggermente terreno. Valverde, dopo uno scambio di battute col Pistolero, inarca la schiena, spinge sui pedali e va a rincorrere il duo Quintana-Froome, quasi li ripiglia. Allora, la maglia gialla rompe gli indugi. Sprinta, con furia, la bici sbanda, sembra una vela sballottata dalla tempesta. Quintana non può farci nulla. Cede un secondo. Valverde assiste all’ennesima prova di forza della maglia gialla. Dietro, arriva Contador. Tenacemente chiude con undici secondi di vantaggio su Nibali. Come una formichina, il siciliano anche oggi ha messo da parte un’altra briciola. Ha superato Tony Gallopin in classifica generale, era nono, adesso è ottavo.
4) Hollande parla. Il Tour, dice, attraversa il Paese e lo racconta. La rabbia degli agricoltori è legittima, spiega, hanno sfruttato la forza del Tour per protestare e chiedere più attenzione da parte del governo: “Non possono vivere di soli aiuti. Devono esserci dei prezzi tali da remunerarli”. Promette di intervenire, di garantire maggiori controlli sul fronte della grande distribuzione che, a dire degli agricoltori, strozza il settore: “Se si vuole che l’agricoltura viva e non semplicemente sopravviva, bisogna sostenerla. Il sostegno è che bisogna intervenire sul piano fiscale, alleggerendo le imposte”. La situazione è critica: sono 20mila le aziende agricole e gli allevamenti in crisi. Il presidente francese è un habituée della corsa, anche prima che venisse eletto all’Eliseo è andato ad assistere al finale di tappa che arrivava a Brive, nel suo dipartimento della Corrèze. Da allora, non ha mai mancato un’edizione. Nel 2013 era alla tappa pirenaica di Bagnères-de-Bigorre, pochi giorni dopo le inondazioni che avevano devastato la regione. L’anno scorso, ha reso omaggio ai caduti della Grande Guerra, i Poilus del Chemin des Dames, per seguire il finale della tappa di Reims.
5) Il Tour de France è un’istituzione nazionale, un evento-vetrina del Paese. In termini di immagine, il Tour è la Francia, la sua quintessenza, la sua moderna epopea. In termini organizzativi, è un modello di funzionalità e di efficienza: perché di fatto è una città in movimento di quasi cinquemila abitanti che Prudhomme orchestra, con tutte le problematiche relative. Le cifre del Tour sono infatti più che significative, per quel che riguarda la sicurezza: quest’anno il ministero degli Interni ha mobilitato 24mila uomini, ossia 14mila gendarmi, 9mila poliziotti e agenti speciali della CRS, più altri mille agenti dei consigli dipartimentali. Un esercito. Più una missione permanente di tredici poliziotti per la logistica e i rapporti con l’organizzazione, oltre a 45 guardie repubblicane in motocicletta. Negli ultimi giorni, dopo l’allarme attentati, la sorveglianza è discretamente aumentata. Soprattutto oggi che c’è Hollande.
Il Capo dello Stato onora dunque il Tour che della Francia è uno dei simboli più popolari e riconosciuti nel mondo, dopo la Tour Eiffel e la Costa Azzurra. La copertura mediatica internazionale è capillare, 190 Paesi, cento canali dedicati alla corsa, di cui 60 in diretta, oltre duemila giornalisti e un altro migliaio che lavorano per le tv e le radio. La mondializzazione del Tour è una realtà, ed un modello: seguito con passione da 3,5 miliardi di telespettatori, i diritti tv rappresentano il 60 per cento del giro d’affari totale. France Télévision, che produce 80 ore di diretta, partecipa al finanziamento del Tour con circa 25 milioni di Euro.
Insomma, il Tour è la referenza delle corse sulle due ruote: corteggiato dai politici, rispettato dai presidenti come Hollande che sempre ha detto d’amare lo sport della bicicletta, ammirato dai manager. Le sinergie tra autorità locali e organizzatori sono strettamente funzionali. In termini di microeconomia, il passaggio del Tour comporta forti spese per la città che ospita gli arrivi e le partenze o i giorni di riposo, ma prevede ricadute economiche che ripagano abbondantemente gli investimenti. Una macchina eccezionale che quest’anno attraversa 624 comuni e 26 dipartimenti. Pau, per esempio, dove il Tour si è fermato ben 67 volte, ha pagato 150mila euro per essere città del primo giorno di riposo, alla vigilia dei Pirenei, e per la ripartenza. Ogni agglomerato urbano, in Francia, commissiona studi per valutare l’impatto economico del passaggio della corsa. A Pau, “più della metà dei ristoratori e di un terzo degli albergatori hanno avuto un incremento sensibile sulle loro cifre d’affari”, si legge su un’analisi di settore che aveva preso per riferimento il 2010 e aveva calcolato la ricaduta tra 800 e 900mila Euro, ossia volte quanto speso. L’anno scorso Gap – città d’arrivo e di partenza il giorno successivo – ha pagato 160mila Euro, ma il sindaco stima che in soli due giorni siano stati incassati 3 milioni di Euro.
Un’inezia, rispetto ai 6 milioni di Euro versati da Utrecht, sede della Grande Partenza olandese di quest’anno. Una follìa? Mica tanto. Gli amministratori dell’agglomerazione di Utrecht sostengono che i ricavi saranno cinque volte più alti, almeno 30 milioni, anche grazie alla tradizione ciclistica della città e alla fama che la circonda, come paradiso delle due ruote. Un’aura redditizia, tanto che l’Olanda è il Paese dove le piste ciclabili hanno una capillare diffusione, la più alta del mondo.
L’Amaury Sport Organisation (ASO), padrona dei diritti del Tour, e i partner principali non rivelano mai i conti economici dell’evento. Sono tenuti reciprocamente per contratto alla più grande riservatezza: tuttavia si valuta che il Tour inneschi una cifra d’affari intorno ai 120 milioni di Euro. L’ASO fa parte del gruppo Amaury, oltre al Tour gestisce una quarantina di altri grandi avvenimenti sportivi (come la Dakar, la maratona di Parigi, la Parigi-Roubaix, etc.). La bolletta per ottenere la sede di tappa varia tra i 100 e i 200mila Euro, quella per partecipare alla Carovana Pubblicitaria è variabile, dipende dal numero delle vetture che si vogliono iscrivere, dalle loro dimensioni, dalla posizione. Quella del 2015 comprende 160 veicoli di 34 marchi, si sviluppa per dodici chilometri e distribuisce mezzo milione di gadget al giorno ai quindici milioni di francesi e stranieri che si affollano lungo le strade del Tour: il 47 per cento lo fa per assistere al passaggio della Carovana e delle seicento persone che l’animano.
Una delle marche più chiacchierate – per via delle polemiche con i giovani allevatori della Somme, al punto che per tre giorni sono sparite dalla Carovana – è Cochonou, del gruppo Aoste France, il gigante della salsiccia e del prosciutto. Sette vecchie 2 cavalli Citroen Euro, 30 addetti, 460mila sacchetti di minisalsicce, 110mila cappellini: la tassa d’ingresso nella carovana sfiora 300mila Euro, altrettanto le spese per finanziare il progetto e pagare le spese, ancora 300mila per gli spot in tv. Più le animazioni coi colori del Tour de France nei supermercati. In cambio, le vendite legate al Tour sono diventate sempre più strategiche, ora come ora sono più del 20 per cento degli introiti annuali.
Attorno a questo spettacolo sportivo gratuito e popolare, dunque, si intrecciano colossali giochi commerciali senza dimenticare i business di traino, ossia turismo e cultura. Il Tour è una formidabile cassa di risonanza, oltre che la corsa a tappe più importante del mondo. Per questo c’è Hollande al traguardo di Mende. Al Giro di quest’anno, non ho visto il nostro presidente Mattarella…