La procura di Caltagirone ha notificato cinque avvisi di garanzia per istigazione alla corruzione e corruzione in atti d’ufficio: tra questi all'ex sindaco del comune etneo Giuseppe Mario Mirata e all'attuale primo cittadino Anna Aloisi
Posti di lavoro al centro richiedenti asilo di Mineo ceduti in cambio di voti in consiglio comunale. Non passavano solo dalla gestione del business dei migranti gli affari maturati all’ombra del centro richiedenti asilo più grande d’Italia. La procura di Caltagirone ha infatti notificato cinque avvisi di garanzia per cinque soggetti che gravitavano attorno al Cara di Mineo: tra questi l’ex sindaco del comune in provincia di Catania Giuseppe Mario Mirata, l’attuale primo cittadino (ed ex collaboratore del Cara) Anna Aloisi, l’ex presidente del consorzio Sol Calatino Paolo Ragusa.
Insieme a loro sono indagati altri due amministratori comunali nella città che ospita il Cara: il consigliere e assessore comunale Luana Mandrà e l’ex assessore comunale Maurizio Gulizia. Sono accusati di istigazione alla corruzione e corruzione in atti d’ufficio. Secondo i magistrati della procura calatina i cinque indagati avevano creato una “parentopoli” per elargire a familiari e fedelissimi posti di lavoro al Cara di Mineo. Gli inquirenti contestano l’offerta avanzata dai cinque indagati ad un consigliere comunale di minoranza: avrebbero assunto la sua fidanzata al centro richiedenti asilo se lui fosse passato in maggioranza, accettando anche un posto da assessore in giunta.
L’ipotesi degli inquirenti in pratica ricostruisce l’ultimo rivolo di potere maturato attorno al Cara, coinvolto nell’inchiesta su Mafia Capitale. La cupola capitolina, infatti, aveva messo le mani sul centro richiedenti asilo di Mineo, grazie a Luca Odevaine, l’ex vicecapo di gabinetto di Walter Veltroni che per Salvatore Buzzi gestiva il business dell’immigrazione. A volere Odevaine come consulente del Cara di Mineo era stato Giuseppe Castiglione, ex presidente della provincia di Catania, sottosegretario all’Agricoltura, indagato nella costola catanese dell’inchiesta su Mafia Capitale. “Castiglione fa il sottosegretario, però è il loro principale referente in Sicilia, cioè quello che poi gli porta i voti, perché poi i voti loro li hanno tutti in Sicilia”, è la descrizione che fa Odevaine del braccio destro di Angelino Alfano.
E in effetti dalle parti di Mineo il Nuovo Centrodestra va più forte che altrove: ha eletto il sindaco Aloisi, oggi indagata, ha raccolto centinaia di voti per Giovanni La Via, primo degli eletti all’Europarlamento dal partito di Alfano, proprietario dell’appartamento che ospita la sede catanese di Sisifo, una delle cooperativa che gestisce il Cara di Mineo. Perché oltre all’influenza politica, Mineo è importante soprattutto per i 100 milioni di euro del bando di gara varato per la gestione. Un bando vinto da una cordata bipartisan che va dalla Sisifo, iscritta e Legacoop e coinvolta nello scandalo delle docce antiscabbia di Lampedusa, e arriva a La Cascina, vicina a Comunione e Liberazione. Nella commissione che sceglie i vincitori dell’ultima gara d’appalto c’è anche Odevaine: solo che per il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone quella gara era illegittima. Per ben due volte Cantone ha messo per iscritto il suo parere senza che nemmeno il ministro Alfano lo degnasse di una risposta. Poi nel giugno scorso ecco che la prefettura di Catania ha deciso di commissariare il Cara: da quella gara d’appalto che per Cantone sarebbe illegittima è passato un anno esatto.