Dopo la chiusura dell’ambasciata italiana, il 15 febbraio, il ministero degli Esteri aveva segnalato la situazione di difficoltà invitando tutti i connazionali a lasciare il Paese. Nessuna notizia certa sugli autori del rapimento, ma secondo l'emittente Al-Jazeera si tratta di un gruppo che "probabilmente" fa parte della milizia Jaish al-Qabail (Esercito delle Tribù), ritenuta alleata del generale Khalifa Haftar, nominato a febbraio comandante generale dell’esercito libico dal Parlamento di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale
Quattro italiani sono stati rapiti in Libia vicino al compound dell’Eni nella zona di Mellitah, sulla parte orientale della costa. A diffondere la notizia è stato il ministero degli Esteri, secondo cui i quattro sono dipendenti della società di costruzioni Bonatti. L’Unità di crisi della Farnesina si è immediatamente attivata per seguire il caso ed è in contatto costante con le famiglie dei connazionali e con l’azienda di Parma, che si occupa della realizzazione di infrastrutture e impianti per l’estrazione e il trasporto di petrolio e del gas. Dopo la chiusura dell’ambasciata d’Italia in Libia il 15 febbraio, la Farnesina aveva segnalato la situazione di estrema difficoltà del Paese invitando tutti i connazionali a lasciare la Libia. Nessuna notizia certa sugli autori del rapimento, ma secondo l’emittente Al-Jazeera si tratta di un gruppo che “probabilmente” fa parte della milizia Jaish al-Qabail (Esercito delle Tribù), ritenuta alleata del generale Khalifa Haftar, nominato a febbraio comandante generale dell’esercito libico dal Parlamento di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale. “La zona dove sono stati rapiti gli italiani – ha continuato il corrispondente di Al Jazeera – è stata teatro in passato di violenti scontri tra elementi armati dell’Esercito delle tribù e Fajr Libya, la coalizione di miliziani filo-islamici che detiene il controllo di Tripoli“.
Gentiloni: “Difficile fare ipotesi, stiamo lavorando”
Per il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni è al momento “difficile fare ipotesi sugli autori del rapimento”. “Stiamo lavorando con l’intelligence, nella notte abbiamo avvisato la famiglia” ha aggiunto il responsabile della Farnesina, il quale, parlando degli autori del rapimento, ha sottolineato che “è sempre difficile dopo poche ore capire natura e responsabili”, ma in questo caso si tratta una “zona in cui ci sono dei precedenti e dobbiamo concentrarci per ottenere informazioni sul terreno”. Non solo. A sentire Gentiloni il rapimento “conferma la difficoltà di una situazione che resta instabile”, pur essendo stati fatti “dei passi avanti dal lavoro dell’inviato speciale dell’Onu, Bernardino Leon, e ci auguriamo che la componente di Tripoli si unisca all’accordo che è stato raggiunto. Se l’accordo verrà concluso in modo largo, l’Italia sarà impegnata come nazione leader in tutta l’attività di sostegno alla ricostruzione e al consolidamento della Libia”. Le parole di Gentiloni a margine di una riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue oggi a Bruxelles. Nel frattempo, in attesa di notizie più dettagliate, un fascicolo di indagine è stato aperto in Procura, a Roma: l’ipotesi di reato è sequestro di persona a scopo di terrorismo. Il pm ha affidato ai carabinieri del Ros i primi accertamenti per ricostruire quanto accaduto.
Bonatti spa di Parma: ecco di cosa si occupa la ditta dei 4 rapiti
“Almeno per le prossime due ore ci atterremo al comunicato diffuso dalla Farnesina” hanno spiegato dall’Ufficio stampa della Bonatti, che segue la vicenda mantenendo per ora il riserbo sull’identità dei tecnici, ma restando “in contatto con le famiglie” dei dipendenti (nessuno è residente a Parma né nella provincia). In particolare si tratta di quattro tecnici che lavorano presso alcuni impianti petroliferi nord-africani, per attività di sviluppo, trasporto e manutenzione. La Bonatti spa è un general contractor internazionale che ha sede a Parma. Offre, spiega il sito istituzionale della azienda, servizi di ingegneria, costruzione, gestione e manutenzione impianti per l’industria dell’energia e opera in 16 nazioni: Algeria, Austria, Canada, Egitto, Francia, Germania, Iraq, Italia, Kazakhstan, Messico, Mozambico, Romania, Arabia Saudita, Spagna, Turkmenistan e appunto Libia, a Mellitah.
Mellitah vuol dire Greenstream, il gasdotto che rifornisce mezza Europa
Quest’ultima è una località a 60 chilometri da Tripoli, sede della stazione di compressione del gas libico, da dove si diparte Greenstream, il più grande metanodotto sottomarino in esercizio nel Mediterraneo, sui cui fondali, per una lunghezza di 520 chilometri, si posa fino a raggiungere una profondità che supera i 1.100 metri. Il gasdotto, realizzato nei primi anni del 2000, approda al terminale di Gela, in Sicilia, sulla spiaggia a est della raffineria che l’Eni ha chiuso per riconvertirla a centro di produzione di biocarburanti. Fornisce all’Europa 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno: due miliardi per l’Italia e il resto per gli altri paesi, in prevalenza la Francia. Greenstream appartiene a una società mista composta da Eni e dall’agenzia petrolifera libica National Oil Corporation (Noc) ed è uno dei due metanodotti che collegano l’Italia al Nordafrica (l’altro è il gasdotto con l’Algeria). Dopo la caduta di Gheddafi, gruppi armati, tribù e bande si contendono il controllo delle fonti energetiche. Dall’inizio del conflitto libico, per due volte l’Eni ha deciso di fermare il gasdotto e fare rientrare il proprio personale in Italia.
“Forse è un messaggio al governo italiano”
“Dietro il sequestro potrebbero esserci le milizie islamiche di Tripoli”, il cui obiettivo è “fare pressioni sul governo italiano” per il ruolo svolto nei colloqui di pace sulla crisi libica. Parola dell’incaricato d’affari dell’ambasciata libica presso la Santa Sede, Ali Rugibani, in un’intervista ad Aki-Adnkronos International. “Sono stato informato ieri sera del sequestro da Tripoli. Ancora non è chiaro esattamente cosa ci sia dietro né è possibile affermare con certezza chi sono i responsabili” ha detto il diplomatico, secondo cui tra le ipotesi c’è anche la questione delle possibili sanzioni che l’Ue potrebbe imporre ai soggetti che ostacolano il dialogo sostenuto dalle Nazioni Unite. Lo scorso 12 luglio i delegati di Tobruk e Misurata, oltre ai rappresentanti di movimenti indipendenti e municipalità, hanno siglato in Marocco l’accordo di pace e di riconciliazione in Libia proposto dall’Onu. L’intesa non è stata firmata dal Parlamento di Tripoli, controllato dalle milizie islamiche e non riconosciuto dalla comunità internazionale, che invece sostiene quello di Tobruk.