In attesa della pubblicazione del bilancio relativo all’esercizio 2014, la Siae – società italiana autori ed editori – ha pubblicato la sua seconda “Relazione di trasparenza” che contiene una serie di numeri e dati che raccontano abbastanza – anche se non tutto – di come sono andate le cose nel 2014.
I numeri raccontano di una società che versa sostanzialmente nella stesse condizioni nelle quali versava nel 201o quando si rese necessario procedere al suo ultimo commissariamento, affidando al Maestro Gian Luigi Rondi – coadiuvato dai due sub Commissari, Stella Richter e Scordino – il compito, tra gli altri, di “adottare gli atti necessari ed opportuni al fine di assicurare il risanamento finanziario e l’equilibrio, economico-gestionale della Società”.
A leggere le cifre contenute nella relazione di trasparenza appena pubblicata, risulta evidente, che il commissariamento, l’integrale riscrittura dello Statuto della società che ne ha affidato il governo agli associati più ricchi prevedendo un meccanismo di voto per censo [ogni associato ha un voto, più un voto per ogni euro guadagnato, ndr] e la breve e fugace stagione di Gino Paoli non sono stati sufficienti a tirar fuori la società dalla palude nella quale, da anni, sta lentamente affondando mentre i pochi che dalla sua esistenza continuano a guadagnarci per davvero, raccontano la storia di un risanamento che non c’è e le istituzioni che dovrebbero vigilare sul suo funzionamento a tutela dell’interesse degli oltre 80mila iscritti, preferiscono girarsi dall’altra parte e fingere di non vedere.
Ma veniamo ai numeri che smascherano il bluff della “nuova Siae”. Il risultato d’esercizio tanto per cominciare è nel 2014 sostanzialmente identico a quello che era nel 2010 [l’esercizio precedente all’ultimo commissariamento della società, ndr]: 3,3 milioni di euro nel 2010, contro 3,4 milioni di euro nel 2014. Tanto rumore per niente, verrebbe da dire.
Ma non basta perché se si guarda al margine operativo lordo, ovvero alla differenza tra il valore della produzione ed i costi di produzione che è uno dei dati più significativi di misurazione dell’efficienza di una società, la situazione non cambia, anzi, peggiora. Nel 2010, infatti, la Siae costava 23 milioni di euro in più di quelli che produceva mentre, nel 2014 è costata, addirittura, quasi 27 milioni di euro in più di quelli che ha prodotto. Prima del commissariamento la società produceva quasi 177 milioni di euro, spendendone circa 200 mentre, lo scorso anno, ha prodotto 155 milioni di euro, spendendone 182.
Difficile, sulla base di questi numeri, dire che la gestione commissariale prima e l’attuale management, poi, abbiano davvero risanato la società. Se la società versava in condizioni critiche – almeno sul versante dell’efficienza economico-gestionale – nel 2010, ci versa, evidentemente, ancora oggi e, anzi, la situazione si è aggravata.
Ma i numeri della Siae che preoccupavano di più ieri e continuano a preoccupare maggiormente oggi sono altri e dovrebbero determinare il Ministero dei Beni e delle attività culturali e la Presidenza del Consiglio dei ministri, ad un intervento urgente, prima che sia, davvero, troppo tardi. Uno su tutti, quello, probabilmente, più importante per una società alla quale lo Stato assegna, più o meno in esclusiva, il compito di raccogliere i diritti d’autore nell’interesse di tutti gli autori ed editori italiani: il dato relativo all’ammontare complessivo dei diritti d’autore raccolti.
Nel 2014, la Siae ha incassato, a titolo di diritto d’autore – inclusa la ricca quota di sua spettanza del cosiddetto compenso per copia privata – appena 561 milioni di euro contro i 606 milioni di euro – sempre copia privata inclusa – incassati nel 2010.
E prima che qualcuno – come già accaduto in passato – imputi tale risultato, obiettivamente assai poco lusinghiero, alla sfortunata congiuntura economica ed alla crisi val la pena di ricordare che i dati relativi alla raccolta di diritti d’autore in Europa e nel mondo, nel 2013 [gli ultimi disponibili a livello globale, ndr], pubblicati, una manciata di mesi fa, dalla Cisac – l’associazione che raccoglie centinaia di collecting society in tutto il mondo – portano tutti segni trionfalmente positivi.
E’ un fatto che mentre la raccolta di diritti d’autore nel mondo cresce, in Italia dove – a differenza che altrove – ci si ostina a lasciare affidata, in regime di quasi-esclusiva, alla Siae tale attività, la raccolta cala in maniera preoccupante tanto che la cosiddetta “nuova Siae”, incassa addirittura di meno di quanto incassasse la “vecchia Siae”, ovvero quella dell’anno precedente al commissariamento.
E questo nonostante nel 2014 – sebbene solo dal mese di luglio – la Siae abbia ricevuto in dono dal Ministero dei Beni e delle attività culturali un prezioso aumento del cosiddetto compenso per copia privata: quasi 40 milioni, quelli incassati senza muovere un dito su supporti di registrazione, smartphone, tablet e pc.
Né – come egualmente è spesso accaduto – a qualcuno venga in mente di dire che se la raccolta è stata tanto scarsa, la colpa è della pirateria audiovisiva perché, ironia della sorte, il 2014, è proprio l’anno nel quale è entrato in vigore il Regolamento Agcom sul diritti d’autore, voluto a gran voce dalla Siae e che secondo l’industria audiovisiva avrebbe funzionato tanto bene da infliggere un duro colpo ai pirati.
Niente scuse, dunque.
Se il bilancio del 2014, sembra la brutta copia di quello del 2010 – ovvero dell’ultimo prima delle cure – la colpa è evidentemente solo della cronica inefficienza della società che sta andando a fondo, portando con sé il destino di decine di migliaia di autori ed editori del tutto impotenti perché la loro voce, per Statuto, non vale pressoché nulla nell’assemblea della società.
In un Paese normale, ce ne sarebbe già abbastanza perché il governo intervenisse senza esitazione a porre fine alla lenta agonia di una società che non è, evidentemente, più in grado di realizzare gli scopi per i quali è stata creata ed in nome dei quali lo Stato le ha attribuito funzioni e poteri tanto rilevanti e nevralgici nel sistema della cultura nazionale. Ma, a ben vedere, a navigare tra i numeri della relazione della trasparenza 2014 – in attesa di poter vedere quelli riportati in bilancio – si ha un’ulteriore drammatica conferma.
La società italiana autori ed editori che dovrebbe – per legge e per statuto – occuparsi prevalentemente, se non in via esclusiva, di tutelare al meglio i diritti e gli interessi dei titolari dei diritti d’autore, sopravvive, in realtà, grazie a proventi che poco o nulla hanno a che fare con una gestione efficiente degli altrui diritti d’autore. Basti dire che nel 2014 la Siae ha incassato quasi 30 milioni di euro quale corrispettivo di taluni “servizi in convenzione”, forniti all’Agenzia delle Entrate ed ad una manciata di altri soggetti pubblici che non hanno, davvero, nulla a che vedere con la cultura ed il diritto d’autore. Se si sottraggono questi 30 milioni al risultato del bilancio d’esercizio 2014, il dato finisce in rosso per quasi 27 milioni di euro.
E’, dunque, tecnicamente innegabile che senza gli incassi percepiti dallo svolgimento di attività estranee alla tutela del diritto d’autore, la “nuova Siae”, sarebbe sull’orlo del fallimento proprio come – se non peggio – la vecchia Siae. L’Agenzia delle Entrate, continuando ad affidare – al di fuori di ogni logica di mercato – alla Siae tali servizi, pertanto, la tiene, in sostanza, artificialmente in vita. E ci sono poi altri 36 milioni di euro che se la Siae ripartisse in modo davvero efficiente i propri incassi tra le decine di migliaia di aventi diritto, potrebbero e dovrebbero, in buona misura, non esserci.
Si tratta dei proventi finanziari ovvero di quello che la Siae guadagna tenendo in banca ed investendo i soldi di autori ed editori nell’interesse dei quali li incassa. Nel 2014, tali proventi, sono stati di 10 milioni di euro superiori a quelli del 2010. Difficile, anche in questo caso, parlare di una “nuova Siae”, salvo che la nuova Siae non abbia intenzione di specializzarsi nel mercato dell’intermediazione e speculazione finanziaria. Se si tolgono anche questi 36 milioni di euro al risultato dell’esercizio 2014, il bilancio precipita in un baratro profondo quasi 70 milioni di euro di deficit. Sono questi i numeri del grande bluff della nuova Siae che non c’è.
Chissà che al Ministero dei beni e delle attività culturali che, proprio in questi giorni, sta esaminando il bilancio 2014 della società, a qualcuno non venga in mente di disporre un audit serio sui conti della società e di chiedere al suo management conto di una situazione che diviene, anno dopo anno, più insostenibile.
Nota di trasparenza: i numeri sono numeri e, quindi, non dovrebbe servire ma ricordo ai lettori che rappresento professionalmente una società concorrente della Siae in un giudizio contro quest’ultima.