Il primo è stato Hamza al Khateeb, morto a 13 anni a causa delle tremende torture, in una caserma dei servizi segreti siriani. Era il 2011. Il suo volto fece il giro del mondo. Per un paio di giorni, nel maggio 2011, tutti conoscevano il suo nome. Persino Hillary Clinton lo citò in un suo discorso, dicendo che la legittimità del regime siriano era finita con l’assassinio di quel bambino. Ma dopo poco, Hamza scomparve. La sua storia e il suo volto non se li ricordava più nessuno. Che fine hanno fatto i famigliari di Hamza, nessuno lo sa? Come si convive con il dolore per la morte di un figlio, di Hamza?
Qualche mese fa, fu il turno di Houda, la bambina siriana che di fronte all’obbiettivo di una macchina fotografica, scambiata per un’arma, alzò le mani in segno di resa. Houda commosse. Avevamo tutti in bocca il suo nome. La foto di lei, con i pugni chiusi e le braccia alzate, fece il giro dei giornali. Poi, scomparve. Che fine ha fatto Houda? Dov’è? Cosa è stato fatto per lei, per migliorare realmente la sua vita?
Oggi è il turno di Raghad Hasoun, morta di diabete in un barcone perché il contrabbandiere ha lanciato lo zainetto con l’insulina in mare. Il padre e la madre sono stati accolti in un centro di prima accoglienza a Milano. I volontari stanno vicini alla famiglia di Raghad.
Quest’ultima storia ci dovrebbe insegnare che se Raghad avesse preso un aereo non sarebbe morta. Ma chi oggi concede il visto a un siriano? Nessuno. E allora l’unica speranza di costruirsi una vita migliore è quella di rischiare tutto, di vendere tutto quello che si ha per pagare il viaggio, arricchendo delle mafie internazionali che hanno legami qui, in Europa, e con governi che vengono accolti in pompa magna nei Parlamenti europei.
Ma il volto di Raghad, insieme al suo nome, è destinato a scomparire nel capiente dimenticatoio della guerra siriana. L’unica consolazione è che questa volta è stato fatto qualcosa per la famiglia, è stato dato calore umano. In più, per questi due giorni, la tragedia siriana, il dolore, è stato umanizzato. Si è dato un volto e un nome, conoscendo perfino qualcosa della vita di questa ragazza, a una delle oltre 300mila vittime della guerra in Siria. Raghad non è diventata un numero, non è morta in silenzio come gli oltre 20mila bambini uccisi dal 2011 ad oggi.