Lo show di Renzi all’assemblea democratica nella cornice dell’Expo, gratificata mentre la bolla trionfalistica si sta sgonfiando non solo dell’affitto per la sala ma degli ingressi per tutti i delegati, ha prodotto perfino l’incontenibile compiacimento di Angelino Alfano per “il completamento del programma economico del centrodestra”. E l’evoluzione, se così si può chiamare, di quel “contratto con gli italiani” che allora sembrò un unicum irripetibile, nell’attuale “patto per le riforme” sempre all’insegna dello slogan meno tasse per tutti non ha lasciato insensibile nemmeno l’inventore assoluto che al di là delle esternazioni a caldo sarebbe tentato da un Nazareno 2 sul fisco.
Un Berlusconi “perplesso” sul come si possano reperire i circa 50 miliardi per tagliare l’Imu sulla prima casa e ridurre l’Irpef, ha rivendicato orgogliosamente e comprensibilmente la paternità di uno dei pilastri di quella che era stata venduta come rivoluzione liberale, fin dai tempi della discesa in campo e del primo governo “abbattuto”, secondo la vulgata berlusconiana, dall’avviso di garanzia a Napoli.
La corrispondenza di amorosi sensi riguardo il rilancio fiscale tra “il padre nobile” costretto dalla progressione del suo curriculum giudiziario a tenere la scena e l’ex-rottamatore alle prese con la moltiplicazione dei “casi” fuori controllo, si fonda sul presupposto condiviso di ignorare la questione delle questioni: l’evasione fiscale.
Per chi è stato condannato in via definitiva per frode fiscale e pretende di affossare la legge che ha consentito la sua decadenza anche solo nominare il reato di evasione può suonare urticante. Ma a chi si propone di cambiare il paese e finora l’ha fatto con riforme peggiorative imposte a colpi di fiducia verrebbe spontaneo domandare ingenuamente perché non mette al centro del suo patto con i cittadini onesti la volontà politica di sconfiggere l’evasione con la relativa determinazione a farlo con tutti gli strumenti a disposizione del governo.
A cogliere “la disinvoltura” con cui Renzi si è fatto epigono di B. sia nei contenuti che nella forma, finora sono stati solo i soliti sparuti dissidenti interni, mentre a chiarire come è nel suo stile che la mossa di Renzi ha senso solo se contestuale ad “un serio provvedimento sull’evasione fiscale” è stato l’economista Giacomo Vaciago dalle pagine del Fatto Quotidiano.
Vaciago ha sempre considerato inseparabili le regole democratiche e i principi costituzionali dalle sane dinamiche economiche e quando nel 2013 la JP Morgan sollevò critiche nei confronti della nostra Costituzione “di sinistra” colpevole di aver ingessato l’economia, rispose che viceversa il problema in Italia era stata la mancata attuazione del dettato costituzionale: se c’era da cambiare qualcosa era la legge elettorale e non la Costituzione.
Per un economista, caso abbastanza raro per noi, che da sempre considera come precondizione per non restare “un porto franco per la corruzione come la Grecia la lotta all’evasione”, la riduzione delle tasse è certamente una buona notizia ma vanno ridotte non erga omnes bensì a chi è schiacciato dalla pressione fiscale. In pochi, chiarissimi passaggi, un economista rigoroso indica il non detto da parte del presidente del Consiglio a cominciare dal fenomeno unico al mondo di un paese, il nostro, il cui bilancio a fine anno si chiude con i proventi dell’evasione.
Così come l’accanimento sugli immobili (e non solo sulla cosiddetta prima casa), perché quelli non scappano, e sulle pensioni seguito pervicacemente dagli ultimi governi, incluso quello del grande riformatore, conferma secondo Vaciago l’iniqua e insostenibile pratica di torturare i cittadini onesti e dichiararsi impotenti o conniventi nei confronti dell’evasione a tutti i livelli.