Per i magistrati romani era il “braccio armato” di Manlio Cerroni, il re dei rifiuti di Roma. Arcangelo Spagnoli – morto nel 2012 – era soprattutto la mente del sistema rifiuti dentro la Regione Lazio. Responsabile unico del procedimento in seno all’Ufficio del Commissario straordinario per l’emergenza ambientale della Regione Lazio, fu lui a coniare il termine “Supremo” per il monopolista di Malagrotta.
Oggi la Guardia di Finanza di Roma – applicando la normativa antimafia – ha sequestrato agli eredi di Spagnoli – moglie e tre figlie – 7,5 milioni di euro di beni. Una cifra rappresentata da diversi immobili, conti correnti e da una società di produzione di energia da impianti fotovoltaici, la STQ di Macerata. Il provvedimento di sequestro è stato eseguito dal Nucleo di Polizia Tributaria della capitale, a conclusione di indagini delegate dalla Procura della Repubblica di Roma, iniziate subito dopo gli arresti del gennaio dello scorso anno. Spagnoli è stato ritenuto il “punto di snodo fondamentale tra la struttura Commissariale, la Regione e il gruppo Cerroni”, nonché “vera e propria quinta colonna dell’organizzazione”.
Lo scorso anno ilfattoquotidiano.it aveva pubblicato una lunga intervista a Debora Tavilla, vedova di Arcangelo Spagnoli, che spiegava di voler collaborare con i magistrati per ricostruire il patrimonio del marito. In quella stessa intervista Tavilla ha raccontato nel dettaglio come funzionavano i servizi pubblici nella capitale. Non solo per i rifiuti, ma anche all’interno del colosso Acea, dove ha lavorato per diversi anni.
Dall’analisi dei flussi finanziari le fiamme gialle hanno ricostruito la consistenza dei beni passati agli eredi di Arcangelo Spagnoli che – secondo gli inquirenti – deriverebbero da fonti di reddito mai dichiarate e, quindi, probabilmente frutto di corruzione. Si tratta di quattro appartamenti (due a Roma, uno in provincia di Siena e uno a Lugano), delle quote della società STQ e di somme su conti correnti.