GAP. Siore e siori! Vi narro le prodigiose storie della sedicesima tappa! Che tappa, questi 201 chilometri corsi alla morte da Bourg-de-Péage a Gap! Tanto piccolo grande ciclismo da raccontare! Vincenzo Nibali osa attaccare sua maestà Chris Froome sul Col de Manse e gli strappa ventotto secondi psicologicamente importanti! Peter Sagan, in disperata fuga dal gulag promesso da Oleg Tingov, padrone della Tinkoff-Saxo se non vince almeno una volta, traina una fuga che sotto la sua poderosa spinta diventa omerica (oltre diciotto minuti!): come quelle di una volta! Ma Sagan perde la tappa, si piazza ancora secondo! Monsieur deuxième taglia il traguardo battendosi il petto cinque volte! Tante quanto i secondi posti rimediati in questo Tour!
Quanta umanità c’è al Tour, mesdames et messieurs! Peter è il nostro eroe, la sua maglia verde è la più amata: ha cuore, temperamento, orgoglio! E ancora: che grande paura per il volo spettacolare di Geraint Thomas, luogotenente di Froome, quinto sino a quel momento in classifica! Viene urtato nell’ultima discesa, mentre affronta una curva a destra piuttosto pericolosa, dal giovane francese Warren Barguil! Lo scontro è drammatico: Thomas rimbalza con la testa contro un palo di legno, sorvola gli spettatori, supera una siepe, finisce dentro un fossatello, si rimette in bici, termina lo stesso la tappa!
Ok. Una volta gli strilloni urlavano i dispacci telegrafati dai giornalisti al seguito del Tour. Attiravano gli appassionati alle sedi dei grandi quotidiani: il ciclismo era molto popolare, avvinceva la gente come un feuilleton. La folla premeva sulle vetrine delle redazioni, dove venivano aggiornate le notizie della corsa con bollettini che restavano appesi in attesa delle novità. Una tappa come quella di oggi avrebbe acceso la fantasia e l’entusiasmo dei tifosi. Perché è stato un condensato di ciclismo. A cominciare dal vincitore, Ruben Plaza Molina, uno spagnolo di trentacinque anni che corre per l’italiana Lampre ed è stato campione nazionale.
E’ scattato al momento giusto, sapendo che Sagan non avrebbe potuto contrarlo. In cima al Col de Manse ci arriva con confortanti 56 secondi di vantaggio, il traguardo di Gap è a dodici chilometri, dieci sono di picchiata a tomba aperta. Dietro, Sagan si getta all’inseguimento, disegna traiettorie impossibili, un artista della discesa. Ma anche Plaza Molina ci sa fare. Il duello è palpitante. Lo spagnolo non vince da due anni, soprattutto non ha vinto mai al Tour che pure ha disputato cinque volte. Sagan si schiaccia sul telaio, per aumentare la velocità e diminuire l’attrito dell’aria. Una posizione ardita. Ruba all’avversario 26 secondi. Non bastano. Ruben si aggiusta la maglia, fa il gesto del ciuccio (per la famiglia). Ha un volto da montanaro, la fatica scava fuori come dentro. Ma il pubblico va in delirio per Sagan, è l’idolo dei giovani, “nel gruppo ho tanti amici e mi lasciano andare sempre via”, dirà poi Sagan, “ho voglia di vincere e ci provo ogni volta che ne ho l’occasione”.
Oleg Tinkov, meno arcigno dei giorni scorsi, elogia Peter: “E’ uno dei migliori corridori del mondo, se saprà migliorare, diventerà il nuovo Merckx”. Ho sbirciato i due, mentre stavano uno di fronte all’altro. Lo sguardo di Sagan non mi sembrava quello del figliol prodigo…
Nibali. La testa va meglio, la convinzione pure. Così le gambe girano con più vigore ed efficienza. Oggi Froome ha morso la polvere. Vincenzo è uno che ama leggere le storie delle grandi imprese del passato. Come quella di Fausto Coppi che al Tour del 1949 ebbe un inizio tragico, al punto d’accusare mezz’ora di ritardo, prima delle ultime arrampicate alpine. Voleva addirittura abbandonare il Tour che malediva: non aveva più le gambe delle grandi vittorie, né il cuore, tantomeno il morale… gli bastarono due tappe di montagna per ribaltare tutto. Finì per imporsi con più di dieci minuti su Gino Bartali. La rimonta fantastica è il sogno di Vincenzo. Nella mitica Briançon-Aosta del luglio 1949, Coppi era rimasto nell’ombra, in attesa della sua ora…
In piccolo, è successo lo stesso sulla non irresistibile ascesa del Col de Manse. L’allungo di Nibali è arrivato dopo un attacco di Alberto Contador, facilmente ripreso dalla maglia gialla e dal gruppetto dei migliori (mancava solo il francese Tony Gallopin). Froome non ha reagito: “Vincenzo non è lo stesso dell’anno scorso. Adesso si trova in una posizione difficile, mi aspetto che attacchi nei prossimi giorni. Anzi, da dopodomani mi aspetto attacchi da tutti”. Ha spiegato che non può respingerli tutti, solo quelli degli avversari che sono più vicini in classifica. Logico. “Intanto, sono un giorno più vicino a Parigi”. Ha detto d’essere rimasto shoccato per la caduta dell’amico Geraint, che ha fatto tantissimo per lui, “fin dall’inizio. Ma lui è un tipo tosto, un duro, tornerà ai suoi livelli”.
Domani si riposa. Le Alpi sono qui attorno, le grandi salite incombono. Per tanti, come un incubo. Per alcuni, come l’ultima chance. I superstiti sono 169, Lanterne Rouge è l’irlandese Sam Bennett, l’eritreo Daniel Teklehaimanot – che stava nella fuga saganiana – è balzato al 54esimo posto. Il belga Greg Van Avermaeth che aveva vinto la tredicesima tappa è tornato a casa. Non per colpa di un incidente o perché in crisi. Sua moglie sta per dare alla luce un figlio. Lui vuole assistere al parto.