Un governo debole, insicuro della propria tenuta già in occasione del voto di mercoledì sul secondo pacchetto di riforme da 970 pagine e con la consapevolezza di aver perso ancora del tempo prezioso. Ora, più che i creditori, è la politica a preoccupare sotto l’Acropoli. Lo Tsipras II è nato già morto, sentenziano alcuni commentatori. Proprio dopo aver “tagliato” le ali degli scissionisti di Syriza, e nonostante il sondaggio che dà il partito del premier al 42,5%, mancherebbero adesso i voti in Parlamento per far passare il memorandum e assicurare vitalità a un esecutivo oggetto di continue bordate (c’è anche un attore come viceministro alla previdenza sociale).
Questa la ragione alla base dello svuotamento del ddl in aula da domani, da cui sono state stralciate le disposizioni su baby pensioni, agricoltori e isole per paura che non lo votassero non solo i due partiti di governo ma nemmeno le opposizioni, che non vogliono scontentare il proprio elettorato. Tsipras per legge ha bisogno di almeno 120 voti: al di sotto di quella soglia il governo cade. Il minimo per l’approvazione di un provvedimento è 151. Se fino al referendum Syriza e Anel assieme ne contavano 161, dopo la “espulsione” dei ribelli Yanis Varoufakis e Panagiotis Lafazanis, passando per la presidente della camera Zoi Kostantopoulou, sono scesi a 123. Troppo pochi per dormire sonni tranquilli e attendere la scadenza elettorale.
Ecco che in caso di incidente parlamentare nei prossimi giorni prenderebbe sempre più corpo l’ipotesi di voto a settembre con una data già fissata: il 13. Con un corollario fatto di pericolosi scatti in avanti, come un agosto praticamente tutto in campagna elettorale, per convincere i greci che quelle misure sono state “il male migliore per il Paese”. Ma con il rischio che Syriza imploda e perda per intero il proprio contenuto, trasformandosi sempre più in un partito di centro, un po’ come il Pasok, alla cui sinistra scalpita la pattuglia che vorrebbe Varoufakis alla guida di un movimento trasversale, riformista ma non piegato all’Ue.
“La Syriza partigiana deve essere abbinata con quella sociale – ha detto Tsipras quasi replicando agli scissionisti – per accogliere le preoccupazioni e le aspettative di decine di migliaia di persone comuni che ci sostengono con le loro speranze”. Se invece il governo terrà, giungendo indenne al 20 agosto (altra data cerchiata di rosso per rimborsi e ok definitivi al pacchetto intero di misure), allora si voterà in autunno, probabilmente a novembre. Ma più o meno con le stesse criticità per Tsipras. A supportare questa tesi la chiusura aprioristica dei partiti di opposizione: non scenderanno oggi a patti con il premier, come se il voto di una settimana fa sia stato un ossequio a Bruxelles più che la prova di una effettiva volontà di collaborare. Centristi, conservatori e socialisti infatti non hanno alcuna intenzione di farsi trascinare nelle sabbie mobili di una campagna elettorale dove, gioco forza, sarà lo stesso memorandum ad essere al centro di comizi e altre promesse.
Soprattutto il partito To Potami, guidato dal giornalista Stavros Theodorakis, è già al lavoro per coagulare una piattaforma riformista e unitaria (anche se ognuno andrà da solo con proprie liste) con l’intenzione, a urne chiuse, di dare vita a un esecutivo pro Ue e anti populismi che si distingua dalle “promesse irrealizzabili” di Syriza. E senza l’attuale premier. “Nessun’altra intesa senza riforme”, è la sua posizione. E ha già detto che voterà ‘sì’ solo agli impegni del primo ministro verso i partner internazionali per assicurare la partecipazione del paese alla zona euro, ma non sosterrà altri progetti di legge di natura governativa. Martedì, durante un’affollata conferenza stampa, Theodorakis ha chiesto a Tsipras come intende procedere su legge elettorale, premio di maggioranza e governabilità. Un altro indizio di come la politica (con i suoi riti e i nodi di candidature e collegi) sia tornata prepotentemente al centro della scena.
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