Dopo la morte dell'operaio Alessandro Morricella, il gip aveva stabilito che l'impianto non era sicuro. Ma il governo era intervenuto con un decreto ad hoc per consentirne l'utilizzo, sul quale si attende la pronuncia della Consulta. E ora arriva il giro di vite del custode giudiziario
È arrivato nella serata del 20 luglio l’ultimatum della procura di Taranto all’Ilva. È stato il custode giudiziario Barbara Valenzano a inviare una lettera all’azienda con la quale imponeva o spegnimento dell’Altoforno 2 entro il 23 luglio. L’impianto, com’è noto, è stato sequestrato senza facoltà d’uso dalla magistratura dopo l’incidente che è costato la vita al 35enne Alessandro Morricella: una decisione adottata dal gip Martino Rosati a tutela degli operai dato che l’Afo 2 è sprovvisto delle misure di sicurezza che possano garantire l’incolumità dei lavoratori.
Il fermo dell’impianto, però, avrebbe comportato il blocco completo della fabbrica e così, ancora una volta, il governo è sceso in campo accanto all’Ilva varando un decreto legge che consente l’utilizzo dell’altoforno nonostante sia insicuro. Sul punto però, i magistrati hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale sostenendo che il provvedimento dell’esecutivo viola ben sei articoli della Costituzione. Una mossa che di fatto ha sospeso il giudizio: il gip Rosati, cioè, non risponderà all’istanza dei legali dell’Ilva che avevano chiesto di utilizzare l’altoforno sulla scorta del decreto, fino a quando la Consulta non ne avrà sancito la sua legittimità.
Ma l’Ilva non ci sta e l’Altoforno 2 è ancora acceso. Il giro di vite della procura, però, non si è fatto attendere: dopo il blitz dei carabinieri nei giorni scorsi (che hanno identificato 19 operai presenti nell’impianto sequestrato) nelle scorse ore è stato il custode Valenzano, nominato dal pm Antonella De Luca, a ordinare all’azienda di “procedere nell’immediato all’attuazione del programma di interventi per lo spegnimento in sicurezza dell’altoforno 2, così come previsto dal decreto di sequestro preventivo confermato dal gip Martino Rosati il 29 giugno”.
Non solo. Il custode giudiziario ha chiesto “di essere informata entro il 24 luglio in merito alla realizzazione delle opere per procedere alle attività di spegnimento” ma ha contestualmente autorizzato il personale ad accedere all’impianto per “garantire in sicurezza l’esercizio del processo, il controllo dei livelli di produzione e delle attività manutentive”. Nel documento firmato anche dall’azienda sono inoltre state individuate le figure aziendali connesse all’esecuzione del provvedimento di sequestro preventivo: 13 in totale tra cui i commissari straordinari Pietro Gnudi, Corrado Carrubba ed Enrico Laghi e il direttore generale Massimo Rosini. Tocca a loro, quindi, garantire che l’ordine della procura venga rispettato.
I legali dell’azienda, però, hanno sottolineato nell’incontro con il custode giudiziario che “in vigenza del decreto legge 92/2015 che legittima l’esercizio dell’attività di impresa negli stabilimenti strategici di interesse nazionale quale il sito Ilva di Taranto, ci si riserva ogni valutazione ed iniziativa volta a chiarire il perimetro ed i contenuti dell’eventuale provvedimento giudiziario di esecuzione che giustificherebbe l’odierna iniziativa”. Insomma, l’azienda cerca di prendere tempo in attesa di un nuovo intervento governativo per scongiurare lo stop dello stabilimento.
Giovedì 23 luglio, però, non è solo la data ultima per spegnere l’altoforno, ma anche il giorno in cui il giudice per le udienze preliminari Vilma Gilli, dovrà emettere il verdetto sulla richiesta di rinvio a giudizio degli imputati dell’inchiesta “ambiente svenduto”: tra i quali Nicola e Fabio Riva, l’ex governatore di Puglia Nichi Vendola, il sindaco di Taranto Ippazio Stefano e funzionari del ministero dell’Ambiente.