Poveri e ricchi divisi, ora, anche dall’inflazione. Le famiglie italiane meno abbienti, nel secondo trimestre del 2015, hanno visto calare i prezzi dei beni e servizi che acquistano. Mentre le più facoltose li hanno visti salire. Una tendenza nuova, perché negli ultimi dieci anni l’aumento dei prezzi ha danneggiato di più chi ha redditi più bassi. Ad attestarlo è l’Istat, che rileva come per i nuclei con minore spesa mensile l’indice dell’andamento dei prezzi sia calato dello 0,2% sullo stesso periodo del 2014, mentre per quelli che spendono di più è aumentato dello 0,3%. La media è stata invece dello 0,1%.
Il motivo di queste differenze? Le abitudini di consumo, legate a doppio filo al reddito disponibile. Chi ha meno spende quasi tutto il budget mensile per consumi di base, come il cibo e l’energia. E i prezzi di quest’ultima, in particolare, nel corso del trimestre sono calati. Al contrario le famiglie ricche investono quasi metà delle proprie uscite in servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona e prodotti industriali. Categorie di beni che hanno registrato rincari.
Si tratta, come già detto, di una novità: tra 2005 e giugno 2015 i prezzi al consumo per le famiglie con i più bassi livelli di spesa sono aumentati del 21,6%, contro il 18,3% di quelli delle famiglie con maggiori possibilità. Il nuovo corso dipende sia dall’impoverimento dei nuclei meno abbienti sia dal fatto che il tasso di inflazione, nel frattempo, si è molto ridotto. La stessa Istat sottolinea infine che “la debolezza dell’inflazione nel primo semestre 2015, sia pure con intensità diverse, ha interessato tutti e cinque i gruppi” nei quali sono suddivise le famiglie italiane in base alla loro spesa complessiva. Nel secondo trimestre 2015, tuttavia, gli indici armonizzati dei prezzi al consumo mostrano, per tutti i gruppi di famiglie, segnali di “una lieve ripresa tendenziale”.