Il consolato d’Italia al Cairo oggi è un mucchio di macerie. Dentro e fuori. L’edificio è del tutto inagibile, salvo una piccolissima parte della cosiddetta addettanza militare. Quanto al personale, è ancora sotto choc: se non ci sono state vittime la mattina dell’11 luglio, quando a pochi metri dalla palazzina che ospitava gli uffici consolari è scoppiata un’autobomba poi rivendicata dall’Isis, è stato solo un colpo di fortuna. Già nell’autunno scorso a quel che risulta a ilfattoquotidiano.it, in seguito all’aggressione subita da un’impiegata erano state infatti segnalate alla Farnesina parecchie criticità nella sicurezza della sede.

Segnalazioni al vento, secondo molti critici, visto che il ministero, da allora, non ha fatto tutti gli investimenti necessari per blindare gli uffici o proteggere i dipendenti nelle zone, come il Cairo, dove l’Isis è una minaccia reale e quotidiana. Certo, ha chiuso l’ambasciata più a rischio, quella in Libia, dove domenica sono stati rapiti i quattro tecnici della società parmigiana Bonatti. Ma è a Roma, a piazza della Farnesina, che secondo la Federazione dei Lavoratori Pubblici (Flp) non si è badato a spese pur di sventare anche la più vaga possibilità di un attacco terroristico al ministero  e al ministro attualmente in carica, il conte Paolo Gentiloni Silveri, nobile di Filottrano, di Cingoli e  Macerata.

Figlio di ottima famiglia romana, ex Legambiente ed ex direttore di Nuova Ecologia, ex portavoce del sindaco Francesco Rutelli ed ex assessore per il Giubileo del 2000, ex Margherita, ex presidente della Vigilanza Rai ed ex ministro delle comunicazioni del governo Prodi 2, ex candidato sindaco a Roma – ma sconfitto alle primarie da Ignazio Marino – il 31 ottobre 2014 il renzianissimo Gentiloni è diventato, malgrado la non particolare competenza in materia, il nuovo responsabile degli Esteri per il governo Renzi.  Già all’inizio del 2015 era comunque sulle prime pagine con i suoi, secondo molti, spericolati allarmi: l’Isis è alle porte, in Libia, «a sole 200-300 miglia marine da noi», annunciava il 15 febbraio. Se la mediazione dell’Onu in corso dovesse fallire, siamo «pronti a combattere», prometteva. Insisteva ancora in aprile: «Per contrastare il terrorismo è inevitabile il risvolto militare».

E’ a quel punto che l’Isis definisce Gentiloni «ministro dell’Italia crociata» e inserisce il governo italiano nella lista ufficiale dei nemici dello Stato islamico. Facendo scattare alla Farnesina l’allarme-sicurezza. Comprensibilissimo, ci mancherebbe. Ma possiamo almeno discutere le super-misure di protezione adottate? si sono chiesti i sindacalisti interni. «Hanno cominciato con il togliere i badge ai dipendenti in pensione, nessuno escluso, creando tanti disagi e cupo malumore» ai vecchietti che tornavano nell’ex luogo di lavoro per andare a sbrigare commissioni in banca, all’ufficio postale interno o alla sede distaccata della Asl. «Forse i pensionati con bastone o passo malfermo cominciavano a far paura a qualcuno,» sghignazzava fino a poco tempo fa un volantino della Federazione dei Lavoratori Pubblici – Farnesina. Forse. «Oppure si prevedono invasioni e saccheggi» in quello che «è il palazzo pubblico più blindato d’Italia, se non d’Europa». Chissà.

Di certo, una volta eliminato il rischio-pensionati, è cominciata le review delle misure di sicurezza che proteggevano l’edificio. Ossia i tornelli al piano terra, tutti muniti di metal detector e nastri a raggi x, come negli aeroporti; poi un primo filtro dei carabinieri; poi la vigilanza privata con altri metal detector. Aggiungiamo le decine e decine di militari in borghese presenti negli uffici ai titoli più svariati, il parcheggio riservato, le sbarre che impediscono l’accesso alle automobili estranee: balza subito all’occhio che la Farnesina non è esattamente vulnerabile come il consolato al Cairo.

Eppure, tutto ciò non è stato ritenuto sufficiente a proteggere la «casta del piano nobile», come ormai la chiamano i dipendenti del ministero. Al primo piano, il corridoio che porta agli uffici di Gentiloni e del suo capo di gabinetto, il direttore generale Elisabetta Belloni, è stato chiuso a entrambe le estremità con porte blindate, e vi si accede soltanto con numero cifrato e parola d’ordine. Insomma: lo spazio antistante gli uffici del ministro è diventato off-limits non solo per i visitatori indesiderati che dovessero superare tutti i controlli previsti dal protocollo interno (tornelli, metal detector, ufficio passi, carabinieri…), ma anche per i dipendenti della stessa Farnesina.

Non è dato sapere quanto sia costata, in termini di euro, questa grande operazione di messa in sicurezza; ma se tutto questo, prima dell’11 luglio, veniva definito solo l’ennesimo, antipatico spreco in un ministero già leggendario per la sua propensione a spendere con larghezza (consulenze, ambasciatori pagati più della Merkel, «uffici lussuosamente arredati, quasi cardinalizi, con superficie generosamente al di sopra del limite di legge», e « bagni privati per i vertici della casta», come denunciava la Flp-Farnesina, mentre «i bagni comuni lasciano molto a desiderare»), con l’attentato al Cairo è cambiato tutto. Come lamenta infatti la stessa Flp in una nota: «Ci chiediamo se prima di blindare il corridoio interno di un palazzo già super controllato non vi sia la necessità urgentissima di rivedere ed adeguare la sicurezza nelle nostre sedi all’estero».

E non ha tutti i torti.

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