“Vorrei riuscire a scrivere qualcosa che abbia un senso ma non posso perché un senso, questa vicenda, non ce l’ha. Sono io la ragazza dello stupro della fortezza, sono io”. Dopo le motivazioni della Corte d’Appello di Firenze – che ha assolto sei giovani dall’accusa di aver violentato una 23enne – parla la ragazza che denunciò. Lo fa con una lunga lettera pubblicata sul blog “Al di là del Buco – verso la fine della guerra fredda (e pure calda) tra i sessi“. Dove rievoca gli attimi di quella notte a Firenze, in un’auto parcheggiata vicino alla Fortezza da Basso dove dopo una festa avvenne il rapporto. Per lei fu uno stupro di gruppo. Per i giudici no: con quella denuncia la ragazza voleva “rimuovere” quello che considerava un suo “discutibile momento di debolezza e fragilità”. La vicenda è “incresciosa” – si legge nelle motivazioni – “non encomiabile per nessuno”, ma “penalmente non censurabile“. In sostanza, “l’iniziativa di gruppo non venne ostacolata”.

Era il 2008. Sono passati sette anni. Ora ha 30 anni. Ma “ancora – scrive – ho attacchi di panico, ho flashback e incubi e lotto giornalmente contro la depressione e la disistima di me. Non riesco a vivere più nella mia città, ossessionata dai brutti ricordi e dalla paura di ciò che la gente pensa di me”.

E’ convinta che sia stato giudicato il suo stile di vita, non i fatti di quella notte: “Mi è stato detto, è stato scritto, che ho una condotta sregolata, una vita non lineare, una sessualità ‘confusa‘, che sono un soggetto provocatorio, esibizionista, eccessivo, borderline. C’è chi ha detto addirittura – continua – che non ero che una escort, una donna a pagamento che non pagata o non pagata abbastanza, ha voluto rivalersi con una denuncia”. “Dato che non hai passato gli anni dell’adolescenza e della giovinezza in ginocchio sui ceci con la gonna alle caviglie e lo sguardo basso, cosa vuoi aspettarti, che qualcuno creda a te, vittima di violenza?”, scrive.

Cerca di scavare dentro di sé: “Come potete immaginare che io mi senta adesso? Non riesco a descriverlo nemmeno io. La cosa più amara e dolorosa di questa vicenda è vedere come ogni volta che cerco con le mani e i denti di recuperare la mia vita, di reagire, di andare avanti, c’è sempre qualcosa che ritorna a ricordarmi che sì, sono stata stuprata e non sarò mai più la stessa”.

Ma c’è anche tanta rabbia contro la giustizia nelle sue parole: “Essere vittima di violenza e denunciarla è un’arma a doppio taglio: verrai creduta solo e fin tanto che ti mostrerai distrutta, senza speranza, finché ti chiuderai in casa buttando la chiave dalla finestra, come una moderna Raperonzolo. Ma se mai proverai a cercare di uscirne, a cercare, pian piano di riprendere la tua vita, ti sarà detto ‘ah ma vedi, non ti è mica successo nulla, se fossi stata veramente vittima non lo faresti”.

“Esisto – continua in un altro passaggio – Nonostante abbia vissuto anni sotto shock, sia stata imbottita di psicofarmaci, abbia convissuto con attacchi di panico e incubi ricorrenti, abbia tentato il suicidio più e più volte, abbia dovuto ricostruir a stenti briciola dopo briciola, frammento dopo frammento, la mia vita distrutta, maciullata dalla violenza: la violenza che mi è stata arrecata quella notte, la violenza dei mille interrogatori della polizia, la violenza di 19 ore di processo in cui è stata dissezionata la mia vita dal tipo di mutande che porto al perché mi ritengo bisessuale”.

“Ciò che più fa tristezza di questa storia che mi ha cambiato radicalmente, è che nessuno ha vinto – si legge ancora nella lettera – Non hanno vinto loro, gli stupratori, la loro arroganza, il loro fumo negli occhi, le loro vite vincenti”. “Se potessi tornare indietro sapendone le conseguenze non so se sarei comunque andata al centro antiviolenza – conclude – Ma forse sì, per ripetere al mondo che la violenza non è mai giustificabile”.

 

 

 

 

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