Con le loro rime traducono l’adrenalina che hanno in corpo in allucinazioni pacifiche dense di sense of humour. La musica con la quale le accompagnano invece è un bel mix di contaminazioni perché mischiano l’hip hop a varie sonorità, l’elettronica, il funk e la dance in una dimensione da canzone pop, compresi i ritornelli. Arrivano da Brescia, si chiamano Fratelli Quintale e sono un duo rap composto da Frahone e Mario, il cui simbolo-icona è un Big Foot: “Cercavamo una figura mitologica per dare un plusvalore al nostro immaginario: rappresenta il nostro essere musicalmente, metà uomini e metà animali. Noi ci approcciamo alla musica in modo istintivo e animalesco, a metà fra l’uomo e il gorilla”. Non sono fratelli, anche se rappano insieme sin dall’adolescenza: “Il nome che abbiamo ce lo hanno accollato – raccontano –. Ci conosciamo dai tempi della scuola e all’epoca eravamo entrambi belli piazzati fisicamente (“106 cm x 66 kg” cantano nel brano Avrei fermato il tempo). Ci trovavamo in una piazzetta di Brescia a fare free style, quando arriva un ragazzo che ci dice: ‘Ah, ecco i fratelli quintale’ per farci sentire dei ciccioni. L’abbiamo trovato simpatico quell’appellativo: è italiano, ci calzava bene e abbiamo deciso di utilizzarlo come nostro nome d’arte”. Per il loro nuovo album, il terzo, Tra il bar e la Favola, hanno scelto un titolo che sta a indicare la fase rem tra la vita di tutti i giorni e i loro sogni: “L’essere andati via da una realtà sicura come Brescia ed esserci trasferiti a Milano, dove abbiamo dovuto ricominciare tutto daccapo, mettendoci in gioco, sfidando noi stessi, è la favola che speriamo realizzi i nostri sogni”.
Ragazzi, qual è il vostro più grande sogno?
Non ambiamo al macchinone o a fare chissà quanti soldi. Il nostro sogno è riuscire a campare modestamente con quel che amiamo fare.
A giudicare dai social network avete già una fan-base consistente. Non manca molto alla sua realizzazione.
Beh, quello della musica è sicuramente un bel mondo di squali e pescecani. Noi, al di fuori dei social, che sono un po’ il contatore dell’indice di gradimento dei gruppi, siamo sicuri delle nostre capacità, e dunque è un discorso relativo: i numeri contano fino a un certo punto, quando fai le cose alla tua maniera non contano niente.
Com’è vivere solo grazie alla musica?
Non è facile, ci sono periodi di alti e bassi, però ce la stiamo facendo. Abbiamo fatto la scelta di un progetto a lungo termine, siamo convinti che Tra il bar e la favola sia un disco senza scadenza, che a certe persone possa arrivare anche tra un anno, perché non segue le mode musicali del momento. Ci vuole il tempo che la gente lo ascolti e lo recepisca. Finora abbiamo avuto molti feedback positivi, anche da persone che non sono appassionate di rap. È una grande soddisfazione riuscire a rompere le barriere.
In ambito rap ci sono spesso invidie, gelosie. E screzi, come avvenuto in passato tra Fedez e Babri Fibra. Voi come vi ponete di fronte a simili faccende?
Fin dai tempi di Brescia, siamo sempre stati stakanovisti, ci siamo sempre fatti i cavoli nostri senza guardare mai nel piatto degli altri e soprattutto sempre senza giudicare. I dissing attirano l’attenzione dei media sul rap e sull’hip pop, perché fino a qualche anno fa il rap non aveva questa attenzione. Secondo noi l’unione fa la forza, noi cerchiamo di restare in buoni rapporti con tutti sperando fi far crescere questo genere assieme agli altri.
Nel brano Monnalisa descrivete una situazione che è molto simile al brano Io Zak e la tromba degli Articolo 31. Durante un posto di blocco vi trovano nel cofano ‘una valigia da un quintale’: pensavo che il vostro nome derivasse da un’esperienza del genere…
No, grazie a Dio no, non ci hanno mai trovato nulla. Abbiamo scritto quel brano immaginando di girare un video e in quella valigia da un quintale ognuno può immaginarci quel che vuole: potrebbe esserci della droga, il proprio talento, i propri pesi o le proprie esperienze nella vita… è buttata giù in modo che possa essere interpretabile in vari modi. C’è la frase esplicativa e ironica ‘Dentro Basquiat fuori la Monnalisa’: il quadretto che spiega bene quella situazione particolare. In quelle situazioni devi cercare di stare il più calmo possibile e più impassibile che puoi.
Tornando al talento di cui parlate, in un brano cantate “Ogni talento ha una sua croce”.
Siamo convinti che quando veniamo al mondo un’entità superiore, che sia Dio o qualcun altro, ci dà un dono, ci dota di un talento e c’è chi ha la fortuna di scoprirlo e altri no. Ogni talento è un po’ una croce perché nella vita non si può aver tutto: se rincorri il tuo talento sei costretto a rinunciare ad altro. Anche questo brano è interpretabile: può essere ad esempio una persona che parte per lavoro o il ragazzo che grazie al suo talento nello studio va in America ma è costretto a rinunciare alla famiglia o alla ragazza.
Nella canzone Occhi Rossi spesso ripetete che “si sta senza pensieri”, come nella serie Gomorra.
Ahhhh, no! In realtà non c’entra niente, è una pura casualità. È una sorta di riflessione sulla nostra situazione oggi. Il pezzo parla del fatto che una volta la musica era solo hobby e tutto era molto più semplice. Oggi invece è diventata un lavoro. E questo brano è un po’ un ringraziamento ai nostri fan.
C’è qualcuno a cui vi ispirate in maniera particolare o con cui vi piacerebbe collaborare?
Secondo noi questo nuovo disco è molto sulla linea di Outkast, una cosa che in Italia non esiste e che nessuno ha ancora fatto. Siamo di conformazione fatti più o meno in quella maniera: tanto rap però anche tanta melodia e tanti suoni e tanta musica. E vorremmo influenzare da questo punto di vista. È bello contaminare ed essere contaminati facendo qualcosa di diverso. Noi siamo convinti che parlare di generi nel 2015 sia un po’ una barzelletta perché la musica oggi è totalmente contaminata!