Confronto tra 31 paesi in un rapporto del servizio studi di Montecitorio. Con tutti i criteri fissati per riscuotere l'assegno. Quello anticipato o di vecchiaia. Con trattamenti particolarmente favorevoli nella Repubblica Ceca e nella Slovacchia. E emerge che nel 2050 l'Italia avrà un "record": per smettere di lavorare serviranno 69 anni e 9 mesi. Mentre il presidente dell'Inps Boeri e il premier Renzi pensano ad altre riforme
Un cantiere sempre aperto. Con continue varianti e modifiche allo studio. Segnate da un minimo comun denominatore: tagliare la spesa. E’ la storia delle pensioni italiane, vero e proprio macigno sull’equilibrio dei conti pubblici. Non è bastata neppure l’ultima riforma Fornero per chiuderla definitivamente. Varata non più tardi del 2012 già si pensa di scrivere nuovi capitoli. Come ha annunciato il presidente del Consiglio Matteo Renzi e come ha proposto il presidente dell’Inps Tito Boeri con l’idea di ricalcolare tutti gli assegni previdenziali con il metodo contributivo che avrebbe l’effetto di dare una bella sforbiciata, l’ennesima, agli assegni. Eppure, sfogliando il dossier del Servizio Studi della Camera dei deputati che ha messo a punto un’analisi comparativa tra la legislazione nazionale e quella di altri 30 Paesi europei, si scopre un dato interessante. Quando nel 2050 l’attuale sistema pensionistico italiano andrà a regime, per le pensioni di vecchiaia (quelle erogate al raggiungimento dell’età pensionabile in base ai requisiti di legge, tra i quali gli anni minimi di contribuzione, vigenti al momento in cui matura il diritto previdenziale) bisognerà aver compiuto 69 anni e 9 mesi di età. Una soglia che non ha eguali negli altri 30 Stati presi in considerazione nel dossier sia in confronto alla situazione vigente sia a quella che, negli anni, si determinerà nei singoli Paesi analizzati. Ed anche sul fronte delle pensioni anticipate, le vecchie pensioni di anzianità (corrisposte al raggiungimento del requisito di anzianità contributiva, cioè del numero minimo di anni di contribuzione previsti dalla legge), il regime italiano resta uno dei più duri in circolazione.
LAVORATORI DI LUNGO CORSO Partiamo dalle pensioni di vecchiaia. La normativa italiana prevede la possibilità per i lavoratori di sesso maschile del settore privato, lavoratori autonomi e para-subordinati, di ritirarsi a 66 anni e 3 mesi; idem per i dipendenti pubblici (uomini e donne); per le lavoratrici del settore privato invece uscita prevista a 63 anni e 9 mesi; per le lavoratrici autonome e para-subordinate a 64 anni e 9 mesi. Sono invece necessari 65 anni e 3 mesi per la concessione dell’assegno sociale. Riforme alla mano, per il futuro l’età pensionabile sarà gradualmente aumentata in proporzione all’aumento della speranza di vita e, a partire dal gennaio 2021, non potrà essere inferiore a 67 anni. Che, come detto, saliranno a 69 anni 9 mesi entro il 2050. Tra le discipline più rigorose d’Europa, c’è quella della Germania che fissa a 67 anni l’età pensionabile standard (a regime nel 2029) per l’accesso ai trattamenti di vecchiaia. Unica eccezione per il lavoratori con almeno 45 anni di contributi obbligatori per i quali il limite di età scende a 65 anni. Poi c’è la Francia: 60 anni per i nati prima del 1° luglio 1951, con incrementi di 5 mesi per anno di nascita fino a toccare i 62 per i nati dal 1955 in poi, se il lavoratore ha raggiunto il periodo minimo di iscrizione; 65 o 67 anni (in base agli stessi parametri anagrafici), invece, se non è stato maturato il periodo minimo di iscrizione. Ci vogliono 67 anni anche in Islanda e in Spagna ma solo per i lavoratori con meno di 38 anni e 6 mesi di contributi (oltre tale soglia bastano 65 anni, ma dal 2027 ci vorranno 67 anni per tutti).
PENSIONI SCONTATE Un anno di sconto, invece, nei Paesi d’oltre Manica. L’Irlanda ha fissato a 66 anni il requisito di età per l’erogazione della pensione. Addirittura due nel Regno Unito: per i sudditi di Sua Maestà, attualmente, è previsto il limite di 65 anni per gli uomini che, entro il 2018, scatterà anche per le donne (per le lavoratrici, fino al 2010, era di 60 anni), in attesa che dal 2020 l’età pensionabile si alzi a 66 anni per tutti. Soglie più basse, invece, nel resto d’Europa. Dove il record dei “baby” pensionati spetta, attualmente, ex equo alla Repubblica Ceca (62 anni e 8 mesi per gli uomini e da 61 anni e 8 mesi per le lavoratrici senza prole a 57 anni e 8 mesi per quelle con almeno 5 figli) e alla Slovacchia (62 anni per tutti, con trattamenti di favore per le donne con figli, ma dal 2017 scatteranno meccanismi di adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita). In mezzo ci sono altri 17 Paesi nei quali, sebbene con sfumature diverse e in alcuni casi con trattamenti diversificati tra uomini e donne, l’età di riferimento per la pensione di vecchiaia è fissata a 65 anni. Si tratta di Austria, Belgio, Danimarca, Lussemburgo, Slovenia, Cipro, Lettonia, Estonia, Lituania, Malta, Polonia, Romania, Ungheria, Svizzera, Bulgaria, Paesi Bassi, Polonia e Croazia. Ma in questi ultimi tre Paesi, con meccanismi e tempi diversi, il limite di età sarà innalzato per tutti a 67 anni. Ne bastano, invece, 64 ai cittadini di entrambi i sessi del Liechtenstein per acquisire il diritto ad una pensione di vecchiaia. Poi ci sono i cosiddetti sistemi previdenziali flessibili, come quelli di Svezia (da 61 a 67 anni), Norvegia (da 62 a 75 ) e Finlandia (61 e i 68) dove il lavoratore può decidere di anticipare o posticipare la pensione.
ASSEGNO ANTICIPATO Quanto alla pensioni anticipata, che ha sostituito dal gennaio 2012 la vecchia pensione di anzianità (riforma Fornero), quando essa è richiesta prima dei 62 anni di età e la persona ha maturato i requisiti per il godimento del trattamento (42 anni e 6 mesi per gli uomini e 41 anni e 6 mesi per le donne), è prevista una riduzione dell’importo dell’1% se si beneficia di una pensione anticipata 2 anni prima dei 62 anni; del 2% prima oltre i 2 anni. Guardando all’Europa, in Danimarca, Finlandia, Irlanda, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia la pensione anticipata non esiste. In Germania è possibile lasciare il lavoro a 63 anni con 35 anni di contributi; a 60 anni per le donne nate prima del 1952 e con almeno 15 anni di contributi; a 63 anni per le persone nate prima del 1952 e con particolari requisiti. In Francia, la pensione anticipata è prevista in tre casi: tra i 56 e i 60 anni di età (lunga carriera); tra i 55 e i 59 anni (per grave disabilità); a partire da 60 anni (lavori usuranti) in caso di invalidità causata da infortunio sul lavoro o fattori di rischio professionale. In Spagna il diritto alla pensione anticipata si consegue a 60 anni per i lavoratori assicurati in base al sistema abolito nel 1967. E’ possibile anticipare il congedo fino a un massimo di 2 anni prima del raggiungimento dell’età pensionabile in caso di pensionamento volontario; con 35 anni di contributi; se l’importo della pensione è pari al valore minimo della pensione stessa. Oppure di 4 anni con 33 anni di contributi o se il lavoratore è rimasto disoccupato per almeno 6 mesi. I lavoratori con invalidità almeno del 45% possono andare in pensione a 56 anni (a 52 se l’invalidità è del 65%).
Twitter: @Antonio_Pitoni